I bisogni, analizzati al lume di uno scenario che implica, ormai, apporti qualificati ed autentici, in vista di affrontare momenti decisionali fondamentali per l’indirizzo della società.
di ANTONIO CALICCHIO
Le questioni che, ogni giorno, si affrontano – dai diritti umani alle situazioni di legalità e di vita ambientale, sociale ed economica – segnano l’avvenire di un territorio. E il cittadino, in simili decisioni politiche, non può essere emarginato, ma deve essere chiamato a dare un apporto qualificato, vero e immediato. Oggi, appaiono, sempre più, acutizzarsi le contrapposizioni e le conflittualità, sia ideologiche, che culturali. Ma, proprio ora, in questo delicato contesto, è importante ridare voce alla politica del confronto e, in specifico, a quella arricchita dal contributo critico di cittadini consapevoli, motivati e accorti. E detto impegno non soltanto diviene una urgente progettualità, in un ambiente complesso e diviso, come è quello attuale, ma può, e deve, configurarsi come autentica scelta di servizio di ciascuno e, soprattutto, di coloro i quali sono chiamati a ridare anima alla politica. Deve espandersi, in maniera diffusa, l’immagine di una ritrovata fiducia, offerta a molte menti sconfortate e disanimate, per accendere la speranza di un servizio, incisivo e reale, che possa riconsegnare, alla autenticità umana, il vissuto pubblico e la rete delle relazioni sociali. E’ fondamentale, proprio adesso, il richiamo allo stile politico di un personaggio, che è riuscito ad anteporre, alla sicurezza personale e alle logiche della convenienza, scelte determinanti di vita: “La politica per lui fu un servizio, talvolta, arduo, al quale si era coscienziosamente preparato, non solo con l’approfondimento della storia, delle leggi e della cultura del proprio Paese, ma, soprattutto, con l’indagine paziente sulla natura umana, la sua grandezza e le sue debolezze, e sulle condizioni sempre perfettibili del vivere sociale. La politica fu lo sbocco di un assiduo sforzo di lucida comprensione. Grazie ad esso, egli poté insegnare la giusta gerarchia dei fini da perseguire nel governo, alla luce del primato della Verità sul potere e del Bene sull’utile”. Si tratta dell’etica politica di Tommaso Moro, che esige la qualità del politico e l’interessamento al territorio. Sono elementi, questi, che, da un lato, possono guidare nella formulazione del giudizio sui candidati, verso cui far convergere la propria preferenza; d’altro lato, presentano una riqualificazione del servizio al cittadino e all’interesse generale. La politica si mostra indispensabile al cammino della polis, per la sua qualificazione umana e sociale. I politici scelti devono improntare il proprio ruolo a questo servizio. E nel presente singolare momento storico, in cui risultano numerose le attese concernenti l’essenziale della vita, come la salute, l’ambiente, il lavoro, la legalità, le dinamiche sociali compromesse, giova dare risalto ad una valutazione critica delle scelte progettuali e dei rappresentanti chiamati ad attuarle. Il punto di partenza è costituito dal rapporto del Palazzo col territorio, un rapporto certo e concreto, contraddistinto dalla concentrazione intorno alle problematiche del centro e delle periferie, nell’ambito di una reciprocità di soluzioni che attribuisca nuovo volto alla comunità sociale, organicamente formata da tutte le sue parti. E’ valutazione dell’azione politica, che dovrà svolgersi senza privilegi e pregiudizi, sia a partire dalle “stanze del potere”, sia dalle pratiche esigenze di coloro i quali vanno riconosciuti come cittadini, e non come meri “elettori”. E’ utile privilegiare la effettiva attenzione, rispettosa e reale, a siffatte difficoltà, emblema decisivo di sicura democrazia: il “rappresentare per risolvere”. E’ dovere di ogni uomo di intelletto, in questo non facile momento, ricco di attese, proporre tale rinvio all’etica politica: considerare i principi-guida dei nostri governanti o di coloro i quali si candidano al governo del Paese o delle città, nonché verificarne il legame col territorio, per fornire un servizio trasparente e mirato alle attese sociali.
Pertanto, preme, qui, segnalare alcuni spunti di riflessione, che connotano l’impegno sociale e politico: sviluppare una “nuova mentalità politica”; divenire protagonisti – non rabberciati – di un progetto rielaborato, anche assegnando rilievo ai valori ereditati e consegnati dalla tradizione culturale; evitare la “estremizzazione delle posizioni”, valorizzando ogni possibilità di dialogo e di confronto dialettico. Ciò conduce a riassumere il complesso dei valori propri dell’etica sociale, di cui si alimenta l’attività pubblica e politica, facendo emergere alcune principali valutazioni: l’incompatibilità delle decisioni politiche che contraddicono i principi annunciati e proclamati; l’esigenza alla educazione ad una “metodologia” di discernimento personale e collettivo – così da permettere il dialogo anche fra differenti schieramenti – oltre che alla valutazione della coerenza ai valori destinati alla soluzione dei problemi civili e sociali; l’urgenza di una riqualificazione della cultura e dello stile di vita, come area della sfida rivolta ad un contesto sociale caratterizzato dal consumismo e dall’individualismo. Mediante la riscoperta della cultura dell’impegno, diviene essenziale sostentare il senso attivo della partecipazione, vincendo quella condizione patologica – quasi – endogena che è sottesa ai nostri territori: “delegare senza partecipare”. E, in antagonismo a questa patologia di ordine sociale, ritorna all’attualità un punto centrale, ai fini di un cosciente e diretto coinvolgimento: evidenza e riscontro di uno “stile responsabile e disinteressato”, in politica, attraverso un servizio al cittadino e all’interesse generale. Stile che è testimonianza di vita, e non frutto di occasionale improvvisazione o, peggio, di tattiche particolaristiche. In questa prospettiva, bisogna riconsiderare il rapporto pubblico-privato: non si può accettare un privato, che viene riconosciuto e garantito in termini di autorealizzazione, svincolato dai comuni bisogni e dal “servizio” agli altri. Deve ripristinarsi il raccordo singolo-comunità e, in quest’ottica, politico-elettorale. Tanto il singolo, quanto il politico, non vanno concepiti in una zona chiusa, a parte e distante, cui si aggiungono corpo sociale e corpo elettorale, come “condizioni” o “strumenti” per la realizzazione personale. Il raccordo fra “Palazzo” e “cittadino” deve, e può, essere ricomposto, senza scivolare in una visione negativa, in considerazione delle urgenze ed emergenze che incrementano il disagio sociale. Ne segue che, nella condivisa responsabilità, occorre: finalizzare l’impegno al rinnovamento, col proprio servizio, del tessuto sociale, oggetto di spinte individualistiche, utilitaristiche e di frammentazione sociale; fronteggiare e contrastare un diffuso declino della legalità, che rischia di accrescere l’indifferenza nei confronti della politica o di renderla solamente strumentale; appuntare l’interesse ai problemi delle persone, senza cedere al relativismo etico; esaltare la coerenza coscienziosa, come assunzione di responsabilità. La sfera etica del soggetto si rivela nel modo dignitoso di vivere, ossia nel suo costante riferimento a principi da osservare ed applicare, non tanto per se stesso, quanto, piuttosto, per i valori di reciprocità che innervano la società attuale e l’umanità futura. Comunque, per compiere scelte qualitative, oggettivamente tese alla rigenerazione e alla trasformazione del contesto sociale, sempre più bisognoso di umanità, il concetto della libertà diviene una questione di responsabilità del soggetto, aprendo, così, la dimensione della moralità, “che, in quanto dottrina del dovere, oltrepassa la dottrina dell’essere, ma si fonda pur sempre su questa”, come ricordava Hans Jonas. Tuttavia, l’etica ha a che fare con la natura dell’agire umano, non dissimilmente dal diritto, che, non potendo prescindere dalla sua componente storicistica, si nutre dei casi concreti della vita, nel senso che la dottrina, in mancanza della giurisprudenza, sarebbe “scienza” solo in potenza. Ed infatti, non a caso, Calamandrei affermava che il principio generale iura novit curia smarrisce qualunque valore reale se non si riconnette perpetuamente a quell’altro: mores novit curia!