ELETTROSMOG: LA GAFFE DELL’ANTITRUST

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“MAGGIORI CONSUMI ENERGETICI PER IL 5G, MAGGIORE PRODUZIONE CO2, VA ALZATO L’ELETTROSMOG”

DI Maurizio Martucci

Una vera e propria gaffe quella messa nero su bianco dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM): per favorire il 5G, nel bollettino del 10 Luglio 2023 ammette infatti che il nuovo standard consumerà moltissima energia e produrrà tantissima CO2, motivo per cui bisognerebbe alzare il limite del valore di attenzione e l’obiettivo di qualità, cioè più elettrosmog per tutti, proposta già nella bozza del cd. decreto Telecomunicazioni al vaglio del Governo Meloni. Un vero e proprio paradosso, per altro in controtendenza rispetto agli appelli per la sostenibilità ambientale, scritto al punto 6) del bollettino settimanale, nel paragrafo “Limiti alle emissioni elettromagnetiche“, in cui l’AGCM infila uno scivolone dietro l’altro sostenendo come “il tema dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici è stato oggetto di dibattito nel settore delle comunicazioni elettroniche negli ultimi venti anni. Al centro del dibattito è la necessità di adeguare la disciplina italiana a quella internazionale e dell’Unione europea recepita da parte di tutti gli Stati Membri, con l’eccezione dell’Italia.” Qui il primo falso. Non c’è alcuna necessità di innalzare l’elettrosmog per volere dell’Europa e, tanto meno, non è assolutamente vero che tutti gli Stati membri dell’UE hanno innalzato i limiti soglia. Ecco smontata la teoria in soli tre punti.

Primo perché, come sottolineato di recente nell’istanza depositata al Ministero della salute, dall’Alleanza Italiana Stop5G, la “Legge quadro n° 36/2001 sulla ‘protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici’ cita sia il Principio di Precauzione sancito dall’Unione europea come approccio prudenziale alla gestione del rischio che il Principio di Minimizzazione ALARA (As Low As Reasonably Achievable), cioè il livello più basso ragionevolmente ottenibile come radioprotezione, tanto che in Svizzera, come noto, vige la norma dei 5 V/m“.

Secondo, i limiti indicati dalla Commissione sono valori da non superare e non certo da raggiungere.

Terzo, come ho avuto modo di scrivere anche su Il Fatto Quotidiano, gli invocati 61 V/m come limiti europei “in realtà sono solo in Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna a differenza di Svizzera, Italia, Austria, Belgio, Turchia e i Paesi dell’est europeo – Bulgaria, Polonia, Croazia, Slovenia – nei quali vigono limiti molto più stringenti e protettivi“.

Non solo. L’AGCM prosegue poi nello sciorinare che “i limiti di esposizione elettromagnetica necessari a garantire la tutela della salute pubblica sono definiti a livello internazionale dall’International Commision on Non Ionizing Radiation Protection (ICNIRP)”, sottolineando correttamente come già nel 1990 quest’impostazione obsoleta e antiscientifica venne bocciata dall’Italia che “ha fondato la sua disciplina sul principio di precauzione contenuto nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea“, dimenticando però di sottolineare come l’ente a garanzia della nostra salute non è pubblico, né medico ma privato e composto per lo più da fisici e ingegneri e che proprio l’ICRNIP, cioè Commissione Internazionale per la Protezione delle Radiazioni non ionizzanti, in passato già al centro di numerosi scandali per conflitti d’interessi e legami con l’industria, a detta degli esperti auditi a Bruxelles “non è adeguato” alla protezione pubblica ma fonte di una documentazione parziale e non complessiva della letteratura biomedica disponibile. “Le nuove linee guida ICNIRP sono state fortemente influenzate dalle grandi società di telecomunicazioni e persino dai militari degli Stati Uniti,” chiarisce poi un dossier dei Verdi nell’europarlamento.

Altro passaggio controverso contenuto nella relazione dell’AGCM è il paradosso nel parere e richiesta girata al Governo Meloni di innalzare l’elettrosmog in tutta Italia per favorire la concorrenza commerciale del 5G. Citando un’audizione in Parlamento di ASSTEL (il ramo di Confindiustria delle Telecomunicazioni) e un rapporto fornito dal Politecnico di Milano, AGCM certifica come per la quinta generazione già ai livelli attuali dei limiti di esposizione dal wireless “si avrebbe un impatto ambientale significativo (…) con una produzione maggiore di C02 pari a circa 166.000 tonnellate all’anno e circa 601 GWh/anno di maggiori consumi energetici“, rifugiandosi nel falso mito di una proporzione inversa secondo cui aumentare l’elettrosmog abbasserebbe sia l’emissione di CO2 che i consumi energetici, temi a cuore all’Agenda 2030 dell’ONU sottoscritta dall’Italia. Nulla di più falso, ecco perché:

in Cina, dove il 5G è il più avanzato al mondo e i limiti non sono certo quelli prudenziali italiani, per via delle 410.000 Stazioni Radio Base dell’Internet delle cose si rischia il blackout, tanto che una filiale di China Unicom spegne le antenne ZTE 5G almeno di notte, tra le 21:00 e le 9:00 “per ridurre i costi dell’elettricità nella città di Luoyang“.

Uno studio di Huawei afferma poi che il 5G utilizza fino a tre volte e mezzo più energia rispetto all’infrastruttura 4G. “Il consumo di energia è destinato ad aumentare notevolmente se il 5G viene implementato nello stesso modo in cui lo erano 3G e 4G“, ha replicato Erik Ekudden, CTO di Ericsson. Mentre Vertiv, società dell’Ohio quotata in borsa e specializzata nella consulenza di infrastruttura tecnologica, aveva previsto come nel 2022 essendo nel mondo ben 28,5 miliardi di dispositivi connessi, “gli operatori delle telecomunicazioni dovranno diventare più aggressivi nell’implementazione di tecnologie di risparmio energetico per mitigare l’impatto sui costi operativi derivante dal maggior consumo di energia della tecnologia 5G. Il passaggio al 5G probabilmente aumenterà il consumo totale di energia della rete del 150-170% entro il 2026, con i maggiori aumenti nelle aree di data center macro, nodo e di rete.“

Infine, nel 2020 nel Senato del Parlamento Francese la Commissione per la Pianificazione e lo Sviluppo Regionale Sostenibile ha certificato come “il digitale è stato responsabile del 3,8% delle emissioni globali di gas serra nel 2018 e del 4,2% del consumo di energia primaria; 44% di questo impatto carbonio sarebbe dovuto alla fabbricazione dei devices e il 56% al loro utilizzo“. Motivo per cui all‘Alto Consiglio per il Clima viene chiesto “che sul 5G si faccia finalmente uno studio completo dei suoi impatti“.

Insomma, se per favorire il parere favorevole ad esporre oltre 58milioni di italiani ad uno tsunami elettromagnetico di agenti possibili cancerogeni l’AGCM ha pensato di ricorrere ai numeri, fornendo all’esecutivo dati e bibliografia, senza paura di essere smentiti possiamo tranquillamente dire che hanno preso letteralmente fischi per fiaschi. Perché non si può certo mascherare la verità sotto arbitrari e discutibili rapporti, pensando di poterla passare liscia.

“Per evitare che la maggiore restrittività di tali limiti possa disincentivare nuovi investimenti e l’entrata di nuovi operatori“, chiosa l’Autorità garante della concorrenza e del mercato chiarendo la sua posizione amministrativa esclusivamente per la tutela della concorrenza e del mercato, in funzione del grande business. Una vera e propria ammissione di partigianeria. “Rimozione di ostacoli non necessari”, nel 2019 aveva già sentenziato, svilite come impicci le misure a tutela della salute pubblica: una foglia di fico per coprire problemi sanitari e ambientali già ampiamente provati e documentati, che evidentemente sfuggono all’Antitrust. Altro che “l’analisi dei pochi studi che avanzavano il sospetto di effetti dannosi a valori di esposizione prossimi ai limiti ha portato a un giudizio di non rilevanza“.

Tra articoli scientifici e studi disponibili in letteratura biomedica se ne possono annoverare decine di migliaia che attestano non un sospetto, ma un dato scientifico sugli effetti dannosi, tutt’altro che irrilevanti. Come sentenzia persino la nostra più innovativa giurisprudenza. Ma tutto questo l’Antitrust lo sa? Si o no? Se no (cosa grave), perché non lo sa? Se si, (cosa altrettanto grave) perché allora non lo scrive sul proprio bollettino?
Excusatio non petita, accusatio manifesta, direbbe qualcuno.