Don Giuseppe Colaci racconta: “A Ladispoli ho vissuto i migliori anni della mia vita”

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A pochi giorni dall’inspiegabile trasferimento, don Giuseppe Colaci ci svela i suoi venti anni nella parrocchia del Sacro Cuore di Gesù

Ci sono congedi che segno lo spartiacque di una collettività. Soprattutto se sono dolorosi e, per certi aspetti, incomprensibili. Ladispoli si prepara a salutare Don Giuseppe Colaci, parroco del Sacro Cuore di Gesù al quartiere Campo sportivo, chiamato nel nuovo anno a ricoprire un ruolo importante nella Diocesi di Porto e Santa Rufina. Esattamente presso la Cattedrale dei Sacri Cuori di Gesù e Maria a La Storta. La notizia, che molti speravano non arrivasse mai, è stata annunciata dallo stesso parroco nel corso di una recente omelia. Un addio in piena regola, con lacrime in chiesa dei fedeli e mobilitazione del popolo dei social network che vorrebbe la revoca del trasferimento per non perdere un sacerdote che lascerà una impronta importante nella parrocchia di Ladispoli. Un religioso che è sempre stato molto diretto nei suoi concetti, parlando forte e chiaro su qualsiasi argomento, mostrando il coraggio di non nascondersi dietro una tonaca. Un sacerdote che per 20 anni ha guidato la parrocchia tra Cerreto e Campo Sportivo, ricostruendo quel senso di comunità che era andato perso nel corso del tempo. Un religioso al quale il nostro giornale ha deciso di dedicare una intervista che rappresenti il saluto di una intera comunità ad un prete che di sicuro non è passato indifferente.

Venti anni nella stessa parrocchia sono una fetta di vita consistente. Cosa porterà nel suo cuore di questa esperienza umana?

“Sono stati anni belli ed intensi che mi hanno regalato una ricchezza morale ed umana incredibile. A Ladispoli ho trascorso i migliori anni della mia vita nel pieno, arrivai a 33, vado via a 53 anni, nel pieno della maturità. In questo perido abbiamo fatto tanto, da solo non avreo potuto realizzare nulla se non avessi avuto al mio fianco validi collaboratori ed una comunità di fedeli ammirevoli. Abbiamo creato una profonda esperienza di comunità che prima non c’era. Nella valigia dei ricordi questo patrimonio sarà al primo posto quando un giorno ripenserò alla mia vita qui a Ladispoli”.

Spesso la hanno definita un sacerdote sui generis per scelte molto significative come i fuochi artificiali, il sostegno al progetto Piazza Grande e l’installazione dei due leoni davanti alla chiesa. Si sente una sorta di Don Camillo del terzo millennio?

“Lo prendo come un grande complimento. Don Camillo è un personaggio positivo che nei racconti di Guareschi si prodigava per la gente della sua parrocchia. Mi sento come un sacerdote che non ha mai agito per opportunismo, ho sempre tentato di agire per il bene della gente. Invito tutti a ricordare sempre che i preti passano ma la comunità resta. E resta quello spirito che ha unito tutti i fedeli in questi venti anni. Camminando sulle via del Signore il progetto avviato può proseguire, salvo ovviamente che non arrivi uno squinternnato che distrugga tutto. Ma è una ipotesi che nemmeno prendo in considerazione”.

In venti anni Ladispoli è cresciuta a dismisura come popolazione, come multi etnicità e come edilizia residenziale e commerciale. Secondo lei è stato un ventennio di crescita o di involuzione?

“Nel 1997 era tutto bloccato dopo la vicenda giudiziaria di mani pulite. E’ indubbio che l’economia locale si regga anche sull’edilizia, lentamente Ladispoli si è ripresa ma sono stati anni difficili. E’ ovvio che la situazione non sia agevole, siamo una popolazione in costante crescita, grazie anche alla presenza di tante famiglie di stranieri che si sono integrate nel tessuto sociale. Non mi interesso di politica, ma posso comprendere che in questo ventennio sia stato complicato per gli amministratori comunali riuscire a fornire risposte decisive alla collettività. Ritengo che abbiano lavorato bene, Ladispoli è una città vivibile, spesso vittima solo di pregiudizi e commenti pretestuosi. C’è un tessuto sociale positivo, forse dovrebbe essere rivolta maggiore attenzione alla ricerca anche del bello e non soltanto del pratico”.

vivibile, dovremo curare più la dimensione del bello. Non è tutto male cioà che è stato fattoin venti anni. Prima ladispoli era invisa, ora ceto sociale si è alzato

Se dovesse definire con due aggettivi la Ladispoli del 1997 e quella odierna quali adopererebbe?

“Venti anni fa era una città simile ad un cantiere aperto sotto tanti punti di vista. Pratici ma anche spirituali. Oggi Ladispoli ha piu certezze, viene scelta da tante persone come luogo per venire a vivere”.

Si aspettava questa sollevazione sul web dopo l’annuncio del suo trasferimento?

“Io credo una cosa, anche se penso che sarà ritenuto un concetto scomodo. La comunità della parrocchia sta soffrendo per la notizia del mio trasferimento, ho visto persone piangere per il dispiacere. Ma la comunità parrocchiale più attiva non farà nulla per evitare questo fatto. So che hanno capito che è arrivato il tempo di mettere in pratica ciò che ho insegnato in questi anni. Paradossamente, coloro che sono ai margini della vita parrocchiale si stanno invece inalberando, si parla di raccolta firme e barricate per evitare il mio allontanamente da Ladispoli. A tutti i miei parrocchiani ricordo che occorre vivere con spirito cristiano questa situazione. Personalmente la chiamata ad altra destinazione non nego che mi faccia soffrire. Mi provoca anche emozioni, sapendo il dolore che causerà a chi mi ama e mi stima. Ma quando Dio ci chiama, anche in fasi interlocutorie della vita di un cristiano, occorre seguirlo senza fiatare. Pur portando per sempre Ladispoli nel mio cuore”.

Tanti auguri don Giuseppe, la collettività di Ladispoli perde un grande uomo.