Diventare genitori modifica tutte le relazioni familiari (per esempio il rapporto di coppia, quello con i genitori, con i suoceri, etc.), ma anche le altre relazioni sociali (poiché modifica il proprio ruolo sociale), come pure l’immagine di sé.
Tale esperienza di vita riattiva inevitabilmente i modelli relazionali dell’infanzia dei neo-genitori inerenti il loro rapporto di bambini con le figure che li accudivano. Nel fare esperienza delle relazioni umane, infatti, tutti noi da bambini, interiorizziamo non semplicemente le immagini dei nostri genitori, ma la relazione con loro; ovvero schemi di relazione (pattern) di interazione assieme, con l’affetto che lega tali interazioni. Esempi di tali schemi (o scripts) possono essere la sequenza di eventi del fare la colazione (mamma mi viene a chiamare, scalda il latte, scendo dal letto e mi siedo in cucina, papà è li con noi, etc. in un’ atmosfera di serenità e piacere reciproco); o la sequenza di eventi dell’andare a trovare i nonni (mamma e papà sono agitati, litigano per qualunque motivo, mi vestono di fretta, alzano la voce, l’atmosfera emotiva è di tensione e paura e pertanto non parlo, etc.).
Quando si diventa genitori si attivano inevitabilmente questi schemi relazionali appresi (memorizzati nell’inconscio) in cui però adesso si è nel ruolo del genitore (ci si identifica con i genitori interni) e si pone il proprio figlio nel ruolo che si aveva noi nell’infanzia. Può avvenire anche l’opposto. Conoscere questi pattern di interazione affettiva è molto importante quando si diventa genitori se non ci si vuole trovare a vivere la conturbante esperienza di ripetere con i propri figli alcuni modi di fare dei propri genitori (soprattutto quelli tanto odiati).
È esperienza comune, per i genitori, ritrovarsi a dire ai propri figli le stesse frasi odiate che i propri genitori dicevano loro o ritrovarsi, stupiti, a compiere le stesse azioni tanto detestate nei propri genitori (gridargli contro, punirli brutalmente, togliergli il saluto per tanti giorni, etc.). Ciò succede soprattutto nei momenti di grande stress emozionale, quando le emozioni tolgono la lucidità ed il comportamento umano funziona per automatismi e schemi appresi, cioè possiamo dire con “il pilota automatico”. Goleman parla a tal proposito proprio di un “sequestro emozionale” che le emozioni attuerebbero sulla capacità di ragionare.
Quando si è dominati da una forte emozione e la mente deve reagire in fretta, il cervello non ha il tempo di “ragionare” e pianificare le azioni, pertanto la mente si affida ai ricordi che ha nella memoria procedurale (dove ci sono per così dire i programmi preimpostati tipo pilota automatico) ed attiva gli schemi conosciuti in analoghe situazioni. La memoria procedurale agisce fuori del controllo cosciente: essa è implicata per esempio nel camminare, nell’articolare la lingua mentre si parla, nel guidare o suonare il pianoforte.
Oggi compiamo queste azioni in automatico e non lo ricordiamo forse più, ma per imparare a parlare e camminare ci abbiamo messo molto tempo, articolando tutti i movimenti con attenzione vigile. Modificare questi schemi relazionali, padroneggiarli evitando che si attivino in automatico, sostituirli con altri nuovi e più utili, è possibile, ma richiede un lavoro psicoterapico di elaborazione delle proprie relazioni familiari.
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