Intervista all’architetto Massimo Cavalieri ideatore di un progetto pilota che reclama oggi la creazione di un vero e proprio Sistema Sociale Integrato
Molti passi avanti sono stati fatti in tema di disabilità. Ma a Bracciano un progetto pilota stenta ancora a decollare. Una struttura importante voluta dal pubblico insieme al pubblico che richiede oggi per decollare davvero una nuova sinergia tra gli “attori” in campo. Per approfondire la vicenda ci siamo rivolti ad uno dei protagonisti, l’architetto Massimo Cavalieri.
Architetto Cavalieri, lei è l’ideatore, il progettista, “il padre putativo” del complesso residenziale destinato a disabili in via Varisco a Bracciano
Sì. Si tratta di 19 alloggi costruiti con finanziamento regionale di circa tre miliardi di lire su un terreno messo a disposizione dal comune di Bracciano proprio per dare spazi a persone disabili privi di sostegno familiare, e anche per permettere una transizione dalla vita in famiglia a quella indipendente per persone con disabilità grave. Il Comune ha destinato l’area in una zona di edilizia residenziale pubblica per favorire l’inserimento sociale. Quindi non un’isola avulsa dal contesto, ma una realtà integrata nel territorio. L’opera è stata realizzata dalla cooperativa edilizia Il Trifoglio.
Perché ha scelto la struttura architettonica del complesso residenziale e non quella di case individuali?
L’obiettivo era quello di dotare il territorio di una struttura adeguata alle moderne esigenze e sensibilità. I 19 alloggi completi ed autonomi, sono utilizzabili sia da persone con ridotte capacità motorie ma autosufficienti, che da soggetti bisognosi di assistenza continua. La struttura è stata dotata di spazi comuni. Tutto per consentire momenti di socializzazione e attività, ma anche l’accoglienza diurna di altri soggetti disabili in spazi appositamente studiati. Per questo, nel progetto, era previsto un centro residenziale ma anche un Centro Diurno per disabili.
Il progetto è fermo da molti anni… come mai?
La mia come quella di molti genitori facenti parte della cooperativa era un’aspettativa, perché i tempi maturavano e le leggi a favore dei disabili incalzavano lasciandoci presagire la possibilità di un futuro migliore ma più vicino nel tempo. Per far vivere i disabili “da soli” serve un intervento economico considerevole se non si voglia replicare la relegazione in istituto, istituzionalizzazione che peraltro alla comunità costa, oggi, molto di più. Ci sono moltissime tipologie di disabilità. Ogni disabile ha bisogni diversi e necessita di una rete di interventi di sostegno che gli consenta una vita indipendente. Ma i soldi del sociale non sono sufficienti.
Oggi probabilmente quel complesso è destinato alla vita dei ragazzi disabili per il “dopo di noi”. Come si può realizzare se servono fondi “corposi”?
Oggi i tempi sono maturi. Già la legge 328/2000 parlava di Sistema Sociale Integrato. Poi con la legge 112 /2016 si è finalmente introdotto il progetto individuale di vita. Oggi si punta sul concetto di “qualità della vita”. Non è importante solo offrire servizi riabilitativi o “abilitativi” ma è fondamentale rispondere alle aspettative del disabile. Consentirgli di continuare la propria vita di sempre, le proprie relazioni quotidiane, le amicizie. E questo non può certamente farlo da solo.
La cooperativa è in grado di risolvere la complessità degli interventi necessari?
La cooperativa è una cooperativa edilizia, non ha questi compiti. Ma esistono le regole per realizzare quegli interventi in modo da assolvere agli obiettivi originali. Le leggi oggi sono mature. Non si parla più di mera assistenza perché i fondi pubblici scarseggiano. Si tratta di costruire il Sistema Socio-Sanitario Integrato, di far vedere al territorio e alle istituzioni che si è disponibili alla concertazione. Oggi molte case nel Lazio sono decollate sul progetto che io, insieme all’architetto Rosaria Gitto, da “visionari”, abbiamo ideato. Le case per il “dopo di noi”. La cooperativa ha partecipato al bando regionale sul “Dopo di noi” mettendo a disposizione sei alloggi, due dei quali assegnati proprio a progetto a due disabili, ma non ci sono state richieste per gli altri quattro alloggi. E non perché non ci siano disabili. Ce ne sono e molti, soli, con le loro famiglie, sfiancate dalla fatica. Semplicemente, perché i disabili hanno bisogni diversificati ma se non si costruisce per ognuno sia il Progetto individuale di vita al quale ha diritto, sia le strutture di sostegno, è difficile che i familiari pensino di poter investire risorse in un progetto di vita che non abbia una struttura definita, chiara e soprattutto integrata.
Quindi non se ne esce, non avremo mai a Bracciano residenze per il “Dopo di noi” né un Centro Diurno socio riabilitativo pubblico?
Non è così. Già il consigliere regionale Emiliano Minnucci aveva indicato la strada. Esistono norme e risorse per realizzare tutto ciò. Bisognerebbe solo che ci fosse la volontà politica. Bisogna riunire intorno ad un tavolo Regione, i cinque sindaci dei comuni del Piano di zona, la Asl Roma 4, la Cooperativa Il Trifoglio, le associazioni di secondo livello del terzo settore e concertare chi fa cosa, come e quando. Il Sistema socio-sanitario Integrato è l’unica via possibile. Le risorse per progetti innovativi ci sono, ma bisogna volerlo. E soprattutto non si può improvvisare. Occorrono accordi precisi, di ampio respiro, duraturi e controllabili, perché le risorse vanno spese in modo oculato e debbono avere un impatto sociale. Misurabile e tangibile. Chi progetta deve essere in grado di moltiplicare le risorse, raccogliere tutte le energie del volontariato attivo, in modo razionale e attento e costruire sinergie. Restituendo al sociale quello che il sociale investe.
Graziarosa Villani