DIDATTICA A DISTANZA E CULTURA DIGITALE

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DOPO LE RECENTI DICHIARAZIONI DEL PREMIER DRAGHI TORNIAMO SUL TEMA 

Per includere tutta la cittadinanza studentesca all’istruzione da remoto, in Italia c’è ancora molto da fare. A partire dalla formazione dei dipendenti della PA, necessaria per trasformare il nostro Paese da analogico a digitale. A parlare è William Nonnis, considerato uno dei massimi esperti digitali che da anni evidenzia la carenza delle infrastrutture su tutto il territorio come prima causa della disparità tra gli studenti. “Oggi la didattica a distanza è una follia in grado di creare problematiche sia individuali che a livello globale in ambito lavorativo”. E i docenti sono pronti?

Già prima della pandemia la nostra scuola era in una crisi evidenziata dall’alto grado di analfabetismo funzionale dei ragazzi e di abbandono scolastico, sia dal basso livello culturale della popolazione italiana. Tra le cause di fondo anche il non avere fatto i conti con la rivoluzione digitale.

La mancanza di dialogo tra le stesse istituzioni. É un nodo centrale in quanto l’innovazione tecnologica è ciò che vogliono per i nostri ragazzi, il loro futuro e se così dovrà essere che sia almeno uno strumento nelle loro mani anziché un ostacolo. Diciamo questo perché in Italia si assiste ad una contraddizione digitale piuttosto che innovazione. L’esempio lampante è la richiesta (ancora) di documenti da parte della PA che dovrebbe riconoscere il cittadino anziché pretendere da esso di farsi riconoscere. Un cambio di visione che ci si aspetta dal momento che impongono la digitalizzazione e ad essa puntano per un buon futuro. Dover presentare lo stato di famiglia ogni anno per iscrivere un figlio a calcio, per esempio, è una follia come assurdo è chiedere qualunque dato avendo creato lo SPID, che li raccoglie tutti. Attraverso il codice fiscale si accede a tutto, anche nel caso dei minori da iscrivere a calcio, che sono associati a due genitori. Questa è la non digitalizzazione: si ragiona in maniera analogica con degli strumenti digitali, spiega l’esperto che sottolinea come anziché semplificare la vita ai cittadini si utilizza solo l’1% del potenziale degli strumenti oggi a disposizione. Questo è il fallimento della PA, che lascia passare inoltre l’errato concetto che la tecnologia sostituirà l’uomo anziché sostenerlo.

Non possiamo stupirci dunque se a distanza di due anni non si è riusciti a creare un sistema per rendere inclusiva la didattica a distanza. Non tutti hanno a disposizione un dispositivo, il personale docente non sempre è preparato così come mancano le infrastrutture. E non è un problema economico se mancano le basi, e non è il cittadino il problema bensì i vertici. Non siamo pronti allo spostamento in modalità virtuale dell’ambiente di apprendimento e puntare ad esso significherebbe allontanare i giovani dalla conoscenza, mortificare il potenziale individuale, generare disagi psicologici. É già successo nonostante la buona volontà nel voler garantire a tutti gli studenti le stesse possibilità, in termini di accesso agli strumenti necessari per una piena partecipazione all’attività didattica.

Infine, “è un errore pensare che la scuola è l’unica cosa che si possa chiudere sempre … i dati dimostrano che non ferma l’epidemia”. Così Francesco Vaia, direttore dell’istituto per le malattie infettive Spallanzani di Roma.

Fonte: Nonnis – Radio Cusano