DELITTO VANNINI: “SE SOCCORSO MARCO SAREBBE ANCORA VIVO”

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LO HANNO STABILITO I GIUDICI DELLA CASSAZIONE NELLE LORO MOTIVAZIONI DEPOSITATE LA SCORSA SETTIMANA DANDO PIENA RESPONSABILITÀ DELLA TRAGEDIA ALL’INTERA FAMIGLIA CIONTOLI.

La reazione dei Vannini: “Dal primo giorno abbiamo sostenutoche tutti erano colpevoli allo stesso modo”.

“Se Marco Vannini fosse stato soccorso in tempo sarebbe ancora vivo”. Forse è l’aspetto più importante di questa storia tragica. E a scriverlo ora è stata la prima sezione penale della Corte di Cassazione che ha depositato le motivazioni della sentenza del 7 febbraio scorso, giorno in cui ha stabilito un appello bis, e cioè che i giudici di secondo grado tornino a decidere riguardo all’omicidio del ragazzo 20enne di Cerveteri.

Gli ermellini hanno spiegato per quale motivo è stata annullata la sentenza di secondo grado che aveva ridotto la pena all’omicida Antonio Ciontoli, sottoufficiale della Marina in forza ai servizi segreti, da 14 a 5 anni, riqualificando il reato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo. E di fatto hanno chiarito la ragione per cui sono stati accolti i ricorsi della famiglia della vittima e del procuratore generale basati sulla richiesta di condanna per omicidio volontario anche per i familiari di Ciontoli: la moglie Maria Pezzillo, i figli Federico e Martina.

omicidioIntanto – scrive la Corte – il decesso del giovane dopo il colpo di pistola è “ascrivibile solo ad Antonio Ciontoli”, il quale “rimase inerte ostacolando i soccorsi e dando false informazioni agli infermieri, consapevole di avere esploso un colpo di pistola con un proiettile rimasto all’interno del corpo della vittima”. La morte di Marco avvenne sia per “la conseguenza delle lesioni causate dallo sparo – riporta la Suprema Corte – che per la mancanza di soccorsi che, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto”.

Da quel che si legge nelle 43 pagine delle motivazioni, si evince un altro fattore davvero importante. La centralità della responsabilità dei familiari di Ciontoli. “Tutti gli imputati – sostengono i giudici – intervennero con le loro condotte omissive e quindi incisero sull’aggravamento delle condizioni di Marco Vannini”. Una partecipazione alla tragedia riconosciuta pienamente, al contrario di quanto stabilito dai giudici di secondo grado. “Tutti presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente, – esamina sempre la Cassazione – si informarono su quanto accaduto, trasportarono il ferito in un’altra stanza, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero il numero telefonico di chiamata dei soccorsi”.

Sotto i riflettori Federico Ciontoli e la madre, i primi a contattare il 118 alle 23.41. “Entrambi in quel momento – afferma la Corte – erano portatori di un sapere, avevano appreso della versione del colpo a salve e, vera o falsa che fosse, non la riferirono”. La presenza di Martina si può davvero collocare sulla scena del crimine? La Cassazione non lo esclude affatto rievocando l’intercettazione ambientale nella caserma dei carabinieri che la riprese mentre mimava, al fratello, la scena dello sparo, “affermando espressamente di avervi assistito”.

Le reazioni dei Vannini. “Non ci inventavamo niente e sentire di nuovo questo fa male, – aggiunge il padre della vittima, Valerio – sono stati 110 lunghissimi minuti di sofferenza per nostro figlio trapassato da parte a parte con un proiettile mentre nessuno presente in quella casa ha fatto qualcosa per salvarlo. Neanche un film dura 110 minuti. Finalmente i giudici ci hanno dato ragione. La battaglia però è ancora lunga, bisogna davvero lottare tanto per avere giustizia e io e mia moglie Marina continueremo a batterci”.