DELITTO ALLA FOCE DELLO ZAMBRA

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CERVETERI – RACCONTO DI UN CRIMINE TRA FANTASIA E REALTÀ.

di Angelo Alfani

Sono momentacci!
Il demonio scaturito dal mercato di Whuan in un anno ha fatto strike.
Della enorme fesseria: “Andrà tutto bene!” è rimasto qualche sbrindellato lenzuolo, mentre nuove eclatanti miserie, cattiverie e contraddizioni in seno al popolo sono emerse dal profondo dell’anima. E come dice il Papa: “…quando prende possesso del cuore di una persona, rimane lì, come a casa sua e non vuole uscirne” E ce s’è messo pure Giove Pluvio a farci rabbuia’ la testa. Visto l’andazzo ho pensato di riproporre un’avventura del Maresciallo Saporito, così tanto per ammazzare il tedio.
«Aurora riccioli d’oro non aveva ancora lasciato il suo talamo per portare luce ai mortali, che il maresciallo Saporito raggiungeva la solfatara, poco distante dall’aeroporto Savini. Solleone, il suo cane, acquattato nel sedile posteriore, faceva finta di dormire. Una nebbia bassa copriva quel Virgiliano luogo, nascondendo alla vista la bassa giunchiglia e lasciando svettare le inusuali betulle. Con mano ferma Saporito lo fece scendere e lo costrinse a rotolarsi nella fanghiglia che “fa ‘na mano santa”.
Un manto di fango rinsecchito ne coprì il pelo. Saporito decise di andarlo a lavare là dove il fossetto Zambra, ancora dolciastro e tiepido, confluisce nell’acqua salmastra. Raggiunto lo scavalco del Sasso precipitarono verso Campo del mare. Lo stacco della sabbia dall’azzurro marino appariva netto quasi che il cielo volesse sprofondarvi.
Il cemento aveva invaso i punti più elevati e visibili dei monterozzi che degradavano nella piana: la ricchezza cafona va mostrata. Superato il fosso del Cerqueto, che fu sepoltura di tre anime innocenti, un muro, simile a sepentello grigio, accerchiava la collinetta soprastante lo Zoorama. Chissà se i Sassoni sarebbero rimasti immuni dal “progresso”, pensò il maresciallo.
Giunsero a ridosso del fosso, non distante dal bagnasciuga, lasciandosi alle spalle una macchietta verde intenso tra la grassa terra appena morganata. Luogo un tempo di uccellatori di frodo e di raccoglitori di ferro autarchico, negli ultimi anni, soprattutto fuori stagione, era stato scelto per appuntamenti amorosi ed accoppiamenti che si volevano segreti. Il cane con un balzo saltò la foce iniziando a sgarufare il pendio di sabbia. Tornò scodinzolante dal padrone con una scarpa in bocca. Il maresciallo, a fatica, riuscì a strappargliela dai denti e, attraversato il ponticello di tavole protetto da scorrimano di ferro eroso dalla salsedine, si diresse verso la buca. Due piedi bianchi come lenzuoli spuntavano fuori dal nero, mentre il tanfo rendeva il respiro sempre più complicato.

delittoIl maresciallo tornò a Cerveteri con le narici gonfie di mortaccino, accolto dai soliti accidiosi e dalla nuvolaglia nera di cornacchie che si staccò d’improvviso dalla Torre. La cornacchia nell’antica Grecia era di cattivo augurio e presagio di morte e, per quanto sacra ad Atena, gli ateniesi non permisero mai che si fermasse sull’Acropoli. Il cadavere dell’uomo venne rimosso dai cassamortari, incelofanato ed allungato sul travertino dell’obitorio. Si appurò che la morte era stata causata da un oggetto largo e tagliente, sbattuto con violenza sulla testa della vittima.
Nella caserma accanto al Fontanone, al sottoposto Patane’, che osservava in silenzio il Maresciallo rigirare tra le mani il mocassino azzannato dal cane, venne in mente la cosa più banale e per questo tralasciata.“Marescia’, ma di scarpe di solito se ne portano due!” Trovarono il secondo mocassino alla fine della stradina che conduceva al luogo del macabro ritrovamento, dietro un ontano centenario, avvolto da edera. I segni freschi di pneumatici dimostravano chiaramente che la vittima era stata portata lì ma fatta fuori in un altro luogo: caricato il corpo sulle spalle venne insabbiato. La scarpa, nel trambusto, era scivolata via dal piede. Insomma non si trattava di un delitto passionale come molti desideravano fosse, e come il luogo poteva far supporre, ma di ben altro. L’assassinato era un quarantenne, nipote di un assegnatario dell’Ente Maremma che, dalla morte dei suoi, viveva solo, quasi asserragliato, nella casa di campagna.
Barba e capelli incolti e brizzolati, come volesse trattenervi la cenere e la polvere dei suoi padri, occupava oramai solo lo stanzone a pian terreno in mezzo a recipienti di plastica,pompe dell’acqua ramata, e ragnatele.
Sulle sue scelte sessuali i soliti pettegolezzi piccolo borghesi, niente di altro. Da anni i litigi con lo zio paterno, divorziato e sciupatore di testa e soldi dietro alla ex-badante della suocera, avevano contrassegnato l’eredità del bene, che col passare della invasione di villettopoli, era divenuta ancora più ambita. L’ennesima lite tra i due era terminata con un colpo di zappa. Lo andarono a prendere dal barbiere mentre, tra una bestemmia ed un’altra, se la pjava coll’arbitraggio scandaloso nel derby. Si lasciò portare via come dovesse andare all’ufficio del Registro.
Nel borgo si racconta che in cella ammorba le orecchie degli altri detenuti con dettagliati resoconti dei profitti per gli investimenti che avrebbe realizzato all’Est, se solo quel due volte disgraziato del nipote gli avesse dato retta».