di Angelo Alfani
Terminata la guerra la schedina era SISAL e prevedeva di pronosticare dodici risultati delle partite di calcio della domenica.
Poi, col passaggio al Monopolio, assunse il nome di Totocalcio e, nella stagione calcistica 1950/51 venne aggiunta una tredicesima partita (da cui derivò l’espressione ancora oggi in uso fare tredici al Totocalcio). Otto partite di serie A, le altre delle serie minori. Milioni di italiani sognavano appiccicati alle radioline.
I tredici erano rari quanto i politici moralmente apposto. Fino al concorso 19 del 14 gennaio 1951, la schedina Totocalcio era composta da dodici partite e quindi venivano pagati i vincitori con 12 e 11 punti. La giocata classica della doppia colonna venne introdotta solo nella stagione 1951/52 e il costo minimo passò quindi da 50 a 100 lire.
A Cerveteri si giocava solo al bar Pietrantò, in piazza, a cui si aggiunse, anni dopo, Mezzopane. Il limite ultimo per la giocata era la serata del sabato.
Nel 1952 ci fu la prima ed unica vittoria: Pippo Tani azzeccò i risultati. Duemilioni e quattrocentomila lire (dicono): una tombola! Prese in gestione il bar della Baricella, da poco vedova, e sostanziò subitamente la sua grande passione, la due ruote, acquistando l’ultimo modello della Lambretta.
Altro tredici, ma dannatamente falso, avvenne negli anni settanta: la storica schedina di Nelletto. Ma questa è un’altra storia.
C’erano pure accanite giocatrice del Lotto. Si incontravano, smazzavano la Smorfia, controllavano le date dei morti della settimana. Come aruspici etruschi studiavano addirittura il volo dei piccioni della torre. Affidavano poi ad un ragazzetto o ad un incaricato di andarseli a giocare nella storica ricevitoria di Testaccio, proprio accanto ai Pompieri, non distante dalla stazione Ostiense.
Poi vennero messe su le ricevitorie anche a Ladispoli, in questo sempre antesignana, ed in contemporanea a Bracciano.
Oggi Cerveteri potrebbe contendere a Las Vegas l’assegnazione di Sito Unesco del gioco. Centinaia di slot machine, e migliaia di gratta e vinci, giornalmente inebetiscono donne e uomini. La scommessa è degenerata per la sua “insaziabilità di offerta”. Una volta catturato, l’umano precipita, senza fine.
Nulla da eccepire: ognuno è libero de buttasse dalla greppa, come ognuno è libero di trarre profitti considerevoli dalla debolezza e dal vizio degli umani. E’ così, da sempre.
Leggiamo cosa ha scritto, nel 1832, G.G. Belli nel sonetto: La mojje der giocatore:
Commare mia, so proprio disperata: / nun pòzzo ppiù dormì, nuun trovo loco. / Da che ha ppijjato la passione de gioco / st’infame de Matteo m’ha aruvinata. // Cuer po’ dee dote mia ggià se n’è annata / più cche ll’avessi incennerita er foco: / e ssi vvedi la casa! appoco appoco / già mme l’ha ttutta cuanta svalisciata!
E ijerzera, Madonna benedetta! / Che spasimo fu er mio come a cquattr’ora / Me lo vedde tornà senza giacchetta! // Ma la cosa più ppeggio che mm’accora, / so ggravida, commare! Io poveretta / con che infascio sto fio cuanno viè fora?!
Chi ha orecchie intenda.