CRISI RUSSIA-UCRAINA: NESSUNO PUO’ PERMETTERSI DI FARE UNA GUERRA, TANTO PIU’ IN QUESTO MOMENTO

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Oggi, si è di fronte ad una svolta storica, davanti alla quale dire “no” alla guerra manifesta un significato più esteso ed universale, generato dalla corsa agli armamenti nucleari.

di ANTONIO CALICCHIO

Nell’ambito della filosofia morale si studia un antico principio generale, formulato nel diritto romano, ossia quello della responsabilità solidale, che, il lessico popolare, restituisce, mediante il proverbio: “E’ ladro non solo chi ruba, ma anche chi para il sacco”. Se due soggetti commettono, insieme, un delitto, come, ad es., il mandante e il killer, allora si comminerebbe un ergastolo per uno, atteso che la responsabilità non si divide per due.

I delitti di guerra implicano, sempre, dei corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori, ecc. “A dar retta ai teorici della obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di Ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile, perché pazzo. Dunque, quel delitto non è mai avvenuto, perché non ha autore”, diceva don Milani.

Esiste un solo modo per uscire da questo gioco di parole, e cioè – continuava don Milani – “avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è, ormai, più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo, né davanti agli uomini, né davanti a Dio, che bisogna che si sentano, ognuno, l’unico responsabile di tutto”.

Quanto sta accadendo, in questi giorni di conflitto, tra Russia ed Ucraina, evidenzia che la guerra è il peggiore e il più falso dei “miti” – come asserisce Galimberti – “che non ha mai cessato di trovare cantori che ne hanno esaltato l’eroismo, la forza, il coraggio, la bellezza, coprendo, sotto questo manto estetico, quanto di più atroce l’uomo, e solo l’uomo, ha ideato”, giacché, secondo Hegel, a differenza dell’animale, l’uomo uccide non per mangiare, bensì per ottenere dal vinto il riconoscimento della sua superiorità. E sulla medesima linea concettuale si collocava Fromm, per cui l’uomo “è l’unico primate che uccida e torturi membri della propria specie senza motivo, né biologico, né economico, traendone soddisfazione”. Così è da interpretarsi l’hobbesiano assunto “homo homini lupus”, nel senso che l’uomo è l’unico essere della creazione dotato di uno spirito aggressivo, anche soltanto per voluttà maligna, per un irrazionale bisogno distruttivo.

Purtroppo, l’umanità ha, sempre, concepito l’evoluzione sotto l’aspetto del nemico da atterrare, e fintantoché non si attua il cambiamento di detta cultura, le guerre esisteranno, sempre. Cambiamento che deve, quindi, comportare il rifiuto incondizionato della guerra: incondizionato, vale a dire senza condizioni, senza giustificazioni.

Certo, tutti condannano la guerra, ma, poi, la fanno. Ed allora, sono, davvero, tutti d’accordo che la guerra è da condannarsi incondizionatamente?

Come riferisce Bobbio, si sono, nel corso della storia, elaborate molteplici teorie, volte a legittimare la guerra, e la guerra c’è, sempre, stata; ed essa è stata giustificata, proprio, perché c’è sempre stata, proprio, perché è stata un elemento costitutivo della storia. Siccome parte della storia è storia di guerre, allora filosofi, giuristi, teologi hanno dovuto giustificarla, tanto più, per evitare di far apparire la storia sbagliata o assurda.

E le giustificazioni sono risultate numerose. Ma, qui, si intende discuterne solamente quattro.

La prima, è quella derivata dal diritto internazionale, che distingue tra guerre giuste e ingiuste: alcune guerre sono un male, altre non lo sono. Ad es., sono un male le guerre di conquista, non quelle di difesa.

La seconda giustificazione afferma che la guerra è un male minore: tutte le guerre sono un male, ma vi sono malanni peggiori, come la soppressione della libertà, dell’onore, della fede, della vita. Si è innanzi, in questo caso, ad un conflitto di valori, nel senso che la guerra altro non costituirebbe se non la negazione di un valore: la pace.

La terza giustificazione si fonda sul principio che la guerra è un male necessario; necessario, in quanto senza guerra, non esiste progresso, sviluppo storico. Dal momento che la storia procede per affermazioni e negazioni, qualora mancasse la negazione, allora non vi sarebbe l’affermazione: è, questa, la concezione dialettica della storia, ovverosia la concezione della guerra come molla del progresso. Kant aveva tessuto l’elogio dell’antagonismo e della guerra.

La quarta giustificazione sostiene che la guerra non è né un bene, né un male; è un fatto, e, come tale, è ciò che è. Indiscutibile. E’ parte del destino umano e del disegno della provvidenza. Pure Croce si abbassava avanti alla tremenda maestà della guerra e Gentile la definiva “dramma divino”. Se, dunque, la guerra si mostra come inevitabile, allora nulla si può contro di essa; forse, non provocarla, ma, quando scoppia, occorre adempiere il proprio dovere. E adempiere il proprio dovere non significa altro che accettare la propria sorte, la propria “condanna” di essere uomini.

Queste, che sono le principali ideologie giustificative della guerra, vanno respinte in toto et in qualibet parte, unitamente ad ogni altra possibile giustificazione, poiché la guerra è violenza, ed essendo la violenza un male assoluto, la guerra, dunque, è un male assoluto.

In primo luogo, non esistono guerre giuste o ingiuste; qualunque guerra è violenza. E, poi, chi ha il diritto di distinguere, ad es., la guerra di offesa da quella di difesa?

In secondo luogo, la guerra non è un male minore: essa è un male, puramente e semplicemente; non si deve compiere il male. E, poi, non è il male minore, posto che tutti i mali scaturiscono dalla violenza. E non si dà bene che possa barattarsi con la perdita della pace, essendo questa il presupposto degli altri valori, come la democrazia, i diritti umani, ecc.

In terzo luogo, la guerra non rappresenta un male necessario. Potrebbe anche essere che dopo la guerra l’umanità realizzi un passo avanti; ma quanti ne realizza indietro, a causa della guerra? E come si può sapere quale sarebbe stato il destino dell’uomo senza guerre? Come può paragonarsi il progresso storico attraverso le guerre col progresso storico attraverso la pace, se, fino adesso, la storia umana ha conosciuto unicamente il primo?

In quarto luogo, la guerra non è un fatto inevitabile, dato che deriva dall’uomo, dalle sue passioni, dai suoi interessi, dalle sue pulsioni. Se sono state eliminate le guerre fra individui, Comuni, per quale essenziale ragione dovrebbero continuare quelle fra Stati?
Oggi, si è di fronte ad una svolta storica, davanti alla quale dire “no” alla guerra riveste un significato più ampio ed universale, determinato dalla corsa agli armamenti nucleari. Per la prima  volta, nella storia della umanità, la guerra totale può condurre all’annullamento della vita su questo pianeta, ovvero della storia stessa dell’uomo. E questo può verificarsi, anche adesso, nel conflitto, in atto, fra Russia e Ucraina. Dinanzi al possibile evento della disintegrazione della storia, ogni legittimazione della guerra è assolutamente impossibile, e la guerra stessa diviene moralmente inaccettabile, perché potrebbe produrre l’annientamento del genere umano.   

Platone rammentava che “solo i morti, hanno visto la fine della guerra”. Per gli altri, vale quanto sottolineava il poeta Owen, che, in una delle sue Poesie di guerra, qualificava come “vecchia menzogna” l’icastico verso oraziano: “Dulce et decorum est pro patria mori”, ricalcato sulle parole del poeta greco Tirteo.