La pellicola, candidata come Miglior Film internazionale agli Oscar, doveva arrivare in sala il 29 ottobre, ma le nuove restrizioni da Covid ne hanno ritardato l’uscita. La firma la giovane promessa del cinema polacco Jan Komasa.
di Barbara Civinini
“Tutto è possibile per chi crede“, per dirla con il Vangelo secondo Matteo e Daniel vuole crederci. Così quando ascolta l’omelia di padre Tomasz, alle parole del volitivo cappellano del carcere: ognuno di voi può essere sacerdote, rimane folgorato. Vorrebbe prendere i voti ma è impossibile a causa dei suoi precedenti penali. E quando esce dal riformatorio, grazie alla buona condotta, per andare a lavorare in uno sperduto paesino polacco, si veste da prete e, per un caso fortuito, sostituisce il parroco che sta male. Con l’arrivo dell’abusivo pieno d’umanità la piccola comunità riuscirà a risollevarsi dalle ferite di una tragedia mai superare. Ma la verità verrà a galla con conseguenze drammatiche.
E’ la storia di Corpus Christi, firmata dal talentuoso regista polacco Jan Komasa ispirata a un fatto vero, tanto che se ne arrivò a parlare persino in Vaticano. Si discusse soprattutto sulla validità dei sacramenti amministrati dal prete abusivo. Il regista viene da una famiglia di artisti che facevano parte dell’intellighenzia cattolica polacca, e per fare il film si è avvalso della consulenza di due sacerdoti. Daniel s’impegna molto, studia anche come dire la messa e ha le parole giuste per arrivare al cuore della gente, forse perché ha vissuto i loro stessi affanni. Lo interpreta una giovane emergente del cinema polacco, anche se poco apprezzato dai produttori perché poco convenzionale, Bartosz Bielenia, ma il regista lo ha ritenuto perfetto per la parte. Appena l’ho visto ai provini ho capito subito che c’era qualcosa in lui di diverso, di speciale, ha detto Komasa.
La Chiesa ha avuto paura della pellicola e il vescovo della zona dove si sarebbero dovute giare le scene in interno non ha acconsentito a fare le riprese perché ha ritenuto l’approccio della sceneggiatura anticattolico. In realtà l’adattamento è stato firmato da Mateusz Pacewicz, il giornalista che per primo ha scoperto il caso del finto prete e ne ha fatto un reportage. Non volevo fare una storia alla Sister Act, ha dichiarato il regista. In questo film affronto il bisogno di trovare guide spirituali nuove per i giovani della Polonia dove, dopo la caduta del comunismo e la globalizzazione, la società diviene sempre più secolarizzata, spiega, come riposta l’Avvenire. Al suo terzo lungometraggio dopo Warsaw ’44, il film prima è stato presentato alle Giornate degli autori di Venezia e poi è stato candidato come Miglior Film internazionale agli Oscar.
E’ rientrato nella cinquina ma non ha vinto. In casa, al Polskie Nagrody Filmowe, ha avuto 15 nomination e ha vinto 11 premi. La stessa fondatrice della Wanted Cinema che lo distribuisce, Anastasia Plazzotta, lo considera un piccolo capolavoro. Insomma, un film che crede nella speranza, come ha dichiarato lo stesso regista, non solo nel “bene”, ma forse anche nella capacità della Polonia, un giorno, di superare le divisioni e diventare una cosa sola, che vale la pena di vedere, appena riapriranno le sale cinematografiche.