Concorso d’Arte, intitolato a Carmine Caputo, a Licusati di Camerota

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di Antonio Calicchio

Si è tenuto, nei giorni 10 e 11 agosto scorsi, il Concorso d’Arte, intitolato a Carmine Caputo, pervenuto alla sua terza edizione, a Licusati di Camerota, nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, organizzato da Innocenzo ed Annamaria Bortone, alla presenza di un attento folto pubblico e di autorità religiose e politiche, fra cui il sindaco di Camerota e il senatore Francesco Castiello che, nell’aderire all’invito ricevuto, hanno sostenuto, e sostengono, questa iniziativa, in quanto strumento di mobilitazione delle risorse, delle idee, strumento di motivazione e di apertura di orizzonti culturali ed intellettuali diversi rispetto a quelli tradizionali.

Oltre alle consolidate sezioni pittura estemporanea senior e junior, svolte in loco, e fumettistica, svolte online, quest’anno il concorso si è arricchito, inoltre, della sezione fotografia, pur essa svolta completamente online. Due i temi previsti che i partecipanti hanno sviluppato: per la sezione fotografia, “le ombre e la luce del paesaggio naturale”, mentre, per la sezione fumettistica, “Dea Cilens dalla luce alle ombre”. La partecipazione al concorso è stata gratuita.

Giova puntualizzare, al riguardo, che si è fatto esplicito riferimento alla Dea Cilens nell’elaborazione del tema del Concorso in quanto ricerche di natura archeologica, nell’evidenziare il misterioso fascino del Cilento, conferiscono una identità femminile sacra a siffatto territorio, con l’attribuzione dell’etimologia del suo nome alla Dea Cilens. Diffusa l’assegnazione dell’origine del nome Cilento a Cis Alentum, al di qua del fiume Alento, nemmeno reale configurazione geografica. Ed invece, tali ricerche, rinvenendo un collegamento col mondo etrusco, danno, a questo nome e, quindi, a questa terra, la sintesi di quel fascino che intuitivamente la sensibilità coglie. Nome che proverrebbe da Cilens, divinità etrusca femminile cui veniva riconosciuto il presiedere dei passaggi luce-ombra, giorno-notte e viceversa.

Nell’ambito del programma relativo al Concorso d’Arte è stato organizzato, il giorno 11 agosto, un incontro culturale incentrato sulla presentazione del libro di Nicola Ragucci, Ospedale da Campo 040 di Cortina. Presentazione che si è snodata sugli interventi di Antonio Calicchio – cassazionista magistrato tributario, docente alla Sapienza, scrittore – e Gaetano Ragucci – docente alla Statale di Milano e avvocato – precisando come il libro si situi, sul piano storiografico, nel contesto della “Grande Guerra ’15 – ‘18”, cioè della Prima Guerra Mondiale.

Come noto, essa scoppiò da una piccola scintilla, vale a dire dall’uccisione, a Sarajevo, nel 1914, del principe ereditario d’Austria, da parte di uno studente serbo. Piccola scintilla donde divampò un grande incendio in tutta l’Europa in cui, da un lato, l’Austria dichiarò guerra alla Serbia, venendo sostenuta dalla Germania; mentre, dall’altro, Russia, Inghilterra e Francia si alleavano a difesa della Serbia. Il 24 maggio 1915, il Governo italiano dichiarò la guerra all’Austria e, più tardi, intervennero, nel conflitto, gli Stati Uniti d’America. Il 24 ottobre 1918, giorno anniversario della disfatta di Caporetto, il generale Armando Diaz, succeduto a Cadorna, ordinò l’offensiva italiana. Il nostro esercito si impegnò in una grande battaglia che assunse il nome di “Battaglia di Vittorio Veneto”; gli Austriaci furono battuti e costretti alla ritirata: Vittorio Veneto fu liberata. Il 3 novembre, le nostre truppe entrarono a Trento, a Udine e a Trieste. Il 4 novembre, l’Austria, vinta, invocò l’armistizio. L’Italia era uscita bensì vittoriosa dalla guerra mondiale, ma a costo di enormi sacrifici e notevoli  spargimenti di sangue. Guerra mondiale che venne combattuta nelle trincee in cui la vita era dura e terribile.

Ed è in questo quadro geo-storico che si contestualizza il contenuto del libro Ospedale da Campo 040 Cortina in cui Nicola Ragucci, ben lungi da sofismi letterari o da uno stile d’accademia, ma mosso unicamente dalla sua passione umana e professionale di ufficiale medico, nel centro delle Dolomiti, a Cortina, presso l’Ospedale 040, con un centinaio di posti, dipendente dalla Quinta Compagnia di Sanità, di Verona, nell’Hotel Cristallo, della famiglia Menardi, il dott. Ragucci – dicevo – curava soldati, sottufficiali, ufficiali feriti, congelati, sommersi da valanghe, narrando, altresì, di nevicate, boschi, ruscelli, tramonti, nottate di quel posto. Ospedale che, da luogo di indicibile dolore, riprese, per effetto di una legge del contrappasso, ad ospitare, dopo la guerra, i nomi più noti, a livello mondiale, della cultura, della politica, della mondanità, dello sport, della musica. Ospitò, tra gli altri, Tolstoj, già prima della guerra, D’Annunzio, re Umberto di Savoia, Frank Sinatra, Peter Sellers, Claudia Cardinale.

Il dott. Ragucci, con questo suo libro-diario ha inteso sottolineare questi aspetti fondamentali della sua cultura, e di uomo e di professionista. La cultura è un valore vitale e primario di ogni popolo. La cultura non deve essere richiusa nel ghetto di forme di vita privilegiate o di sistemi ideologici. Diceva Hegel, la cultura “è un modo di vivere e di pensare, attualità ed unità, è come quel presente che è una conseguenza di quegli eventi nella cui serie i caratteri e i fatti rappresentati costituiscono un membro essenziale”.

E nell’attuale sovvertimento dei valori e nel generale disorientamento delle coscienze, occorre dire che la cultura non può essere esclusiva proprietà degli intellettuali, dei politici o degli addetti ai lavori. Anzi, perfino, le forme più semplici elementari di vita e i problemi esistenziali possono essere considerati, fatti culturalmente rilevanti.

Alla luce di queste riflessioni, i relatori hanno rimarcato che è stata una esperienza interessante quella che li ha condotti all’incontro con questo libro di Ragucci. Nelle narrazioni storiche, non v’è mai nulla di definitivo; e, per quel che attiene a questo libro, il dott. Ragucci, all’esito delle sue annotazioni, è riuscito a rimuovere quella patina agiografica che spesso si sedimenta sulle vicende storiche, sociali, politiche, morali, antropologiche, per narrare egli lo svolgimento della sua benefattrice opera diuturna di sanitario.