Come l’educazione e la cultura aiutano a difenderci

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A cura della Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

Dottoressa
Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

Racconto un fatto. Qualche estate fa in spiaggia stavo chiacchierando con una signora che aveva una bambina di circa 10 anni. La bambina stava giocando con un gruppo di amichetti lì vicino. Ad un certo punto la bambina si avvicina alla mamma in lacrime ed arrabbiata raccontando che un amichetto le aveva tolto dalle mani un giochino con cui stava giocando.

La bambina, con tutto il suo pathos, ha spiegato alla madre l’avvenimento…la madre le sorride e le dice “adesso ritorna e con gentilezza chiedi al bambino di ridarti il gioco”.

La bambina guarda la mamma confusa, cerca di rispiegare alla madre cosa l’aveva fatta arrabbiare riprendendo il racconto.

La mamma continua a dire che lei, la bambina, deve ritornare e con gentilezza, chiedere il giochino al bambino. La bambina, rassegnata, ritorna a giocare con gli altri bambini. Io sono sorpresa di questa risposta e cerco, con tatto, di riprendere l’accaduto della bambina ma la madre cambia discorso.

Molte possono essere state le variabili che hanno fatto dare questo tipo di risposta alla madre; per esempio, ipotizziamo che la madre stesse educando a contenere le emozioni della figlia (in certi casi i bambini esprimono le proprie emozioni con risposte comportamentali eccessive); oppure, la madre non voleva fare polemiche e ha risposto così in quel contesto mentre in altre occasioni si sarebbe comportata in modo diverso. Potrebbe essere, invece, che questo fosse lo standard di risposte della madre. Faccio un piccolo volo pindarico.

Nell’articolo “Prendersi cura di sé” è stato spiegato una possibile causa del dare sempre spazio all’altro e, poi, se c’è tempo, pensare a se stessi; cioè, in certi contesti l’educazione e la cultura insegnano fin dall’infanzia che le necessità, i bisogni e le emozioni degli altri sono più importanti delle proprie necessità, bisogni ed emozioni che vengono svalutate e rese silenziose. Dopo alcuni tentativi di legittime resistenze andate a vuoto e, magari, punite, alla fine la persona impara a comportarsi nel modo richiesto non dando più importanza a sé. Meccanismi molto simili succedono nell’esempio descritto. Ipotizziamo che le risposte ai disagi della figlia siano, anche in altre occasioni, simili.

La madre insegna alla figlia a sottovalutare il proprio vissuto emotivo e lasciare posto alle buone maniere; potrebbe capitare, così, che la bambina generalizzi la risposta “buone maniere” a tutti i comportamenti di sopruso o dispetto, soffocando le naturali emozioni di rabbia, dolore, paura, ecc. Infine, è necessario fare un accenno ad un parte fondamentale della vita: la fiducia.

Sempre nell’esempio descritto, nella bambina può venire a mancare la fiducia non solo in sé e nelle sue capacità di giudizio e relazionali ma anche verso le persone di riferimento: la madre, qualora la sua reazione fosse sempre simile a quella descritta, non diventa una figura salvagente a cui la figlia si può aggrappare al bisogno perché non ascolta veramente le sue emozioni, non le accoglie e non le metabolizza.

Il ruolo, quindi, dell’educazione e della cultura diventa fondamentale nel riuscire ad imparare a riconoscersi e a riconoscere su di sé le conseguenze di maltrattamenti, di ingiustizie di ogni tipo che vanno dalla semplice presa in giro tra bambini fino ad arrivare al bullismo per poi giungere al mobbing nell’età adulta (solo per fare alcuni esempi).

Ma soprattutto nel trovare le adeguate figure di riferimento e di fiducia, nelle varie fasi della vita.

masin1970@gmail.com