CIVITAVECCHIA, GLI ANNI DEL BOMBARDAMENTO: RACCONTI PRIVATI

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“Quel giorno io e uno dei figli dei Molinari stavamo giocando nel cortile di casa con delle biglie ricavate dal tappo della gassosa. Ad un certo punto non ho più visto la biglia rotolare e sono stato avvolto da una nuvola di detriti e polvere. Marcello Molinari ci salvò appena in tempo tirandoci via dalle spalle.”

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Era una mattina normalissima quella che sarà indelebile nella mente di Angelo Capparella, che all’epoca dei fatti aveva solo 4 anni. Oggi è un uomo sposato, un padre ed è vicepresidente di un’associazione.

Angelo ci ha raccontato che ormai la popolazione civitavecchiese era abituata al passaggio degli aerei che affollavano i cieli dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Ma quella mattina fu tutto diverso. Gli aerei sbucarono da mare e iniziarono a bombardare le case e gli edifici pubblici.

“Appena fui abbastanza distante dalla nuvola e potei guardare verso casa mia la scena fu impressionante. Una bomba grandissima, alta almeno due metri, era passata attraverso il tetto, portando giù la tromba delle scale. Era in piedi, conficcata nel terreno. Inesplosa.”

Il racconto di Angelo è lucido nonostante la giovanissima età. La sua famiglia e quella dei Molinari vivevano alla fine di via Galvani, davanti alla Casa di Reclusione Passerini. Quella zona, nonostante non fosse centrale, era di grande interesse perché una delle ultime contraeree si trovava proprio vicino all’odierno Varco Nord del Porto. Quella contraerea fu una delle più attive ed impegnate e fu fatta saltare insieme al ponte di pietra e legno che collegava la Fiumaretta con la località della Scaglia, proprio per limitare le entrate e le uscite da e per Civitavecchia. Il ponte romano dell’antica via Aurelia, detto del Diavolo, in una rara fotografia ripresa prima delle distruzioni belliche della Seconda Guerra Mondiale

Tutta l’area di via Tarquinia, l’antica via Aurelia, era del resto fiorente di attività commerciali come la fabbrica del baccalà, il mattatoio, e poco distante c’era anche il cementificio.

Abbiamo conferma dell’intenso bombardamento di quella zona anche attraverso la testimonianza di Renzo Lucernoni che è residente vicino a dove abitava il signor Capparella, e che ci ha raccontato dei ricordi del padre che, quando acquistò la casa in via Galvani finita la guerra, trovò almeno 12 bombe. Nel giardino di casa ancora oggi di tanto in tanto il signor Lucernoni rinviene scaglie di bombe esplose, come quella in foto rinvenuta poco meno di due anni fa nel cortile.

Ritornando al racconto di Capparella invece possiamo attingere importanti informazioni circa la vita tipo durante gli anni di guerra e dove furono posizionate le mine dai tedeschi.

Dopo la fuga tra le valli attorno al Mignone alla Fiumaretta, Angelo riesce ad arrivare nella campagna del nonno che si trovava vicino al Comando Tedesco che aveva occupato la caserma della cavalleria italiana con i propri mezzi.

Il nonno di Angelo aveva costruito una baracca di legno per viverci e lì si sfamavano grazie ai prodotti dell’orto e alle galline. Dalla città invece trasportavano con un carretto sacchi di grano e alcune verdure che da Allumiere alcuni contadini scendevano a vendere al mercato ad un prezzo salato.

Angelo trascorreva le proprie giornate osservando i tedeschi che attorno al Comando avevano disseminato delle mine.

“Quando arrivarono gli americani io li guardavo incuriosito perché c’erano tanti soldati neri e io non ne avevo mai visto uno. Così un giorno i soldati, capendo che attorno al comando c’erano delle mine, mi chiesero visto che ero sempre lì a guardare se sapessi dove fossero. Per ogni mina mi davano una barretta di cioccolata. Avevo già un ottima memoria e li aiutai ad individuarle tutte.”

Dopo gli americani presero il controllo della caserma di nuovo gli italiani che Angelo ricorda avessero delle divise logore e grigie. Sua madre per guadagnarsi da vivere iniziò essendo sarta a cucire le divise per i soldati, che intanto avevano iniziato ad utilizzare i mezzi lasciati dagli americani tra cui Jeep, camionette e armi.

Ormai adulto, dopo aver ricevuto un’istruzione nei seminari di Poppi e Montemarchi, Angelo ha fatto ritorno a Civitavecchia e ha avuto l’opportunità di conoscere uno dei piloti dei cacciabombardieri che gli ha lasciato una testimonianza importante: delle quattro bombe che ha sganciato nessuna è esplosa perché per amore dell’Italia di cui era originario rifiutava il comando che gli era stato dato di bombardare la città.

La domanda a questo punto è una: dove sono ora le quattro bombe?