di Antonio Calicchio
Il personaggio del ragionier Ugo Fantozzi ha, davvero, interpretato un’epoca: un’Italia ancora sull’onda del boom degli anni Cinquanta e Sessanta, sebbene, ormai, l’ottimismo fosse venuto meno.Ed infatti, in quegli anni già prevaleva la tendenza a vedere il bicchiere mezzo vuoto, anziché mezzo pieno. Non a caso, Villaggio ha sempre riscosso un grande successo in Russia: tanto più in quanto i numerosi disastri delle vicende fantozziane erano molto significative per coloro che vivevano all’interno della società sovietica.
Eppure, lo sfondo di quei film e di quei romanzi era italiano e legato a quei nostri anni. Allora, l’inflazione si attestava intorno al 20%, i sindacati erano in lotta con la Confindustria, iniziavano anche a manifestarsi i primi segnali di un conflitto armato che vedeva gruppuscoli di estrema sinistra ed estrema destra spargere sangue per le strade.
L’ideologia produceva violenza e, ancor prima, induceva a condannare tutto, ma principalmente l’esistenza piccolo-borghese. Con la sua maschera, di quel modesto impiegatuccio, Villaggio ha offerto una rappresentazione farsesca del mondo produttivo del tempo, da tutti giudicato fonte di sofferenze.
In questo senso, Fantozzi può essere accostato a talune rappresentazioni dell’Italia produttiva elaborate da una parte della nostra cultura. La scrittura di Villaggio ha poco a che fare con quella di Paolo Volponi e Ottiero Ottieri, ma gli anni erano gli stessi. E senza troppa supponenza, anche Fantozzi – alla sua maniera – ha inteso evidenziare l’alienazione del lavoro industriale.
Tuttavia, esaminato in dettagli che allora potevano essere poco interessanti, quell’antica dimensione può essere oggi oggetto di un pensiero nostalgico. Il Fantozzi dell’Italia di quarant’anni fa conduceva una vita economicamente tranquilla.
Nel suo universo non vi era più la necessità di espatriare, tanto comune in precedenza, e neppure quella condizione lavorativa assai precaria che, invece, è tipica dei nostri giorni.
Il ragionier Fantozzi vive con un certo agio, pur disponendo di un solo stipendio. Sua moglie è casalinga e nessuno sente l’esigenza che vada al lavoro. Egli neppure è minacciato da quella disoccupazione da mezza età che, ora, è divenuta, invece, tanto comune.
Le sue frustrazioni sono tutte interne alle dinamiche relazionali (nei rapporti con i superiori e con i colleghi), ma mai segnalano il rischio di povertà. È, inoltre, utile sottolineare come Fantozzi sia l’ultimo ingranaggio di una grande impresa privata (la realtà ispiratrice era stata l’Italsider di Genova), che ha tutti i presupposti di essere molto solida.
Quelle aziende in cui si entrava da giovani per andarsene anziani, anche lasciando il posto al figlio. Realtà che, ormai, sono scomparse, dato che solo le aziende medie e piccole hanno saputo reggere a fronte delle difficoltà del mercato.
I Fantozzi di oggi, insomma, vivono una condizione, perfino, più difficile. Peccato che da un anno, ormai, non ci sia più un Villaggio capace di richiamare l’attenzione su di loro.