“Non tutti sanno che…“
Le nere lancette dell’orologio alto sulla Fontana del Mascherone di piazza Risorgimento segnano le otto e trenta. Nell’area spaziosa e sgombra del borgo, resuscitata dalle inquetudini del tempo, il Bar degli Elfi fa angolo con l’ex Vicolo dei Pozzi. In questa prima mattina di metà luglio il sole non è ancora riuscito a fulminare di luce la piazza, tant’è che i tre ombrelloni messi fuori dal bar per preservare i clienti dai raggi cocenti sono ancora chiusi. Mi trovo seduto insieme con Benedetto Zapicchi ad uno dei piccoli tavoli tondi posizionato al di sotto “l’albero della vela ammaianata” d’uno degli ombrelloni. Entrambi si sorseggia un caffè. Il mio bastardino Batone, seduto sopra i miei vecchi, stinti pantaloni di velluto, ha il capino rivolto verso la vasca del Fontanone dove due colombi terraioli sono occupati a far toeletta. Li osserva Batone, incuriosito, dritte le orecchie.
Passavo da quelle parti per consegnare un “inedito” al giornale la Voce – la redazione del quotidiano è dirimpetto al bar – quando Benedetto mi chiama per degustare il caffè. Accetto volentieri: dialogare con lui, specialmente su “cose” etrusche, scavi e restauri effettuati per conto della Sovraintendenza archeologica fin da quando era un ragazzo, è affascinante ed istruttivo, ha un’esperienza vastissima!
“Merito del mio povero papà Cesare” – mi dice sempre con voce commossa se mi complimento per il suo sapere – “quando mio padre mi erudiva sulla storia degli etruschi o l’importanza di un vaso, l’autore, la provenienza, il fine delle raffigurazioni, i graffiti, i pannelli, sembrava di essere alla scuola di Cimone da Kleonai…”- racconta.
Così seduti, al di fuori del Bar degli Elfi, in piazza Risorgimento, in questa prima mattina di metà luglio, si dialoga tranquillamente. “Vedi Dario” -mi dice Benedetto – “non tutti sanno che mio padre accompagnò nell’aprile del 1927 (in quel tempo era lui l’assistente in carica) il Lawrence e il suo amico pitore americano Earl Ererwater nella visita alla Necropoli della Banditaccia. Mi confessò che il famoso scrittore inglese lo ‘martellò’ con una sfilza di domande sugli etruschi alle quali rispose esaustivamente. Lo scrittore trascriveva il tutto sopra i fogli di un taccuino logoro e sgualcito… Aggiunse poi con tono amareggiato: il Lawrence fu ingeneroso e duro nei miei confronti nel descrivermi su “Etruscan Places”; scrisse che farfugliavo le spiegazioni come fossi balbuziente, e non ricorda invece, che l’avevo accompagnato pur avendo 40 di febbre: l’alta temperatura era provocata da una ferita al dito mignolo della mano sinistra che si era infettata e che più tardi si rese necessaria l’amputazione di una falange… Gli fornii così tante delucidazioni sul popolo etrusco, che fece sue, trascrivendole come “considerazioni” seduto sulla sabbia nera della spiaggia di Ladispoli. A causa della febbre – terminò quindi mio padre nel confidarmi l’episodio di quel giorno – lasciai lo scrittore inglese e il pittore americano nella sala dei visitatori per apporre la firma sul libro delle presenze giornaliere alla visita della necropoli Cerite…”
Tace un attimo, Benedetto. Si vede palesemente che il ricordo del suo povero papà è inciso nel profondo del suo cuore; e la testimonianza di quell’intimo, sublime sentimento, si rispecchia in quel principio di lacrima che, timidamente nata all’angolo dell’occhio, è in forse se rimanere parzialmente nascosta o scendere precipitando. I due colombi terraioli hanno ultimato il lavoro di toeletta. Ora zampettano sul bordo del vascone grugando animosamente: così appaiati, sono il simbolo ineguagliabile dell’affezione.
Benedetto si porta la tazzina di caffè alle labbra terminando di sorseggiare le ultime, nere gocce della bevanda, quindi, seguita: ” Aveva il dono della chiarezza, mio padre, e parlare di Clizia, Nikostenes o Eufronios, era per lui come citare persone che potevano materiamizzarsi da un momento all’altro. Lavorare con lui sotto la guida della sua assistenza e del suo conoscere, specialmente negli scavi di tombe, era piacevole e, nel contempo, istruttivo, poichè dava continue spiegazioni sugli strati di terra che venivano rimossi, giustificando la presenza di ogni elemento che si incontrava, anzi spesso prevedendolo, cosichè lo scavo era una continua verifica, e per i suoi collaboratori quasi una caccia al tesoro…”.
Il sole, a mano a mano, invade piazza Risorgimento.
La proprietaria del Bar degli Elfi – carina e graziosissima – dispiega la ‘vela’ rotonda dei tre ombrelloni. Batone si è assopito sopra i miei vecchi, stinti pantaloni di velluto. Io e Benedetto restiamo silenziosi.
Dario Rossi