CERVETERI, PYRGI E LE ORIGINI DEGLI ETRUSCHI

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@Arsial

DA UN VECCHIO LIBRO RITROVATO IN UNA BANCARELLA VENGONO RIPROPOSTE DUE PUBBLICAZIONI DEL 1909 CHE SABINO DE NISCO DEDICÒ ALLE ORIGINI DELLA CITTÀ.

di Angelo Alfani

É appena stato dato alle stampe un agile libro: Cerveteri, Pyrgi e le origini degli Etruschi. Il volume include due brevi ma densi saggi dello studioso Sabino De Nisco: elaborazione della tesi di laurea presentata all’ Università di Napoli. Di grande interesse la mappa del territorio della metropoli etrusca con le sue porte, le sue arterie, le sue Necropoli, le vie d’acqua e l’utilizzo di toponimi ancora in uso tra i cervetrani.

L’occasione della riscoperta di questo altrimenti dimenticato Autore è dovuta all’occasionale ritrovamento, sulla bancarella di un rigattiere nella periferia romana, solo pochi anni fa, del suo manoscritto autografo da parte della studiosa Sara Neri, da cui deriva il libro, stampato, probabilmente in poche copie, nel 1909: Origini di Cere.
Monografia storico-archeologica-geografica.
Il recupero di un così prezioso reperto è da ascriversi a merito del professor Vincenzo Bellelli, costante presenza nel nostro territorio, e dell’etruscologo Folco Biagi, autori delle due note introduttive, e alla sensibilità della Fondazione Luigi Rovati e della casa di edizione Johan & Levi che, con questo primo volume, inaugura una collana di reprint sul mondo etrusco. Benvenuta!

Di origini irpine, di quell’area conosciuta come Medio Calore, De Nisco si formò, come molti giovani promettenti ma dalle scarse risorse, in ambiente religioso, divenendo sacerdote nei primissimi anni del novecento. Come suggerito nel manoscritto operò come cappellano a Cerveteri per la durata di alcuni mesi: «il candidato alla laurea, per far piacere ad un amico infermo, lo sostituì per il detto tempo (Aprile-Agosto 1906) nell’ufficio di cappellano del luogo». Nella nota introduttiva Folco Biagi lo ascrive a cappellano della locale confraternita, allora detta del SS. Sagramento e del Rosario, incardinata nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Vocazione religiosa che, come per molti altri in quel tempo, si «arrestò in coincidenza con la fine del percorso universitario» come evidenziato nelle copertine di entrambi i volumetti nell’edizione originaria in cui la dicitura abbreviata “Sac” per sacerdote risulta cassata e sostituita dal titolo di “Prof”.

Si tratta dunque di uno studioso, non di un archeologo della domenica e feste comandate, che operò sul campo ed ebbe tempo di oziare, di andare in giro accompagnato certamente dai cervetrani, di avere lunghe e fruttuose conversazioni con chi teneva ben salda la memoria dei luoghi.
Ebbe insomma in sorte di ascoltare e vedere «cose che voi umani non potreste immaginarvi». Per questo annota, ci ragiona, scrive, mappa, su quello splendore, prima che tutti quei momenti «andranno appena perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia».
Leggendo affrettatamente, per il poco tempo avuto da quando ho il libro tra le mani, annoto piccole cose che mi hanno lasciato dubbioso, accanto alle molte che mi hanno rinfrancato sull’essere nato a Cerveteri.

A) Unico, per quanto mi è dato sapere, che cita nel testo e nella tavola due, inclusa nel libro, il grandioso tumulo del Sorbo come Sepolcro Galassi-Regulini: ci sarà una ragione per cui l’ex generale precede il lungo e smilzo prete o trattasi semplicemente di fatto casuale?
B) La breve ma intensa presenza del giovane cappellano a Cerveteri non è assolutamente riscontrabile né in parrocchia né presso l’archivio storico della Curia vescovile di Porto-Santa Rufina. Per l’archivio storico del Comune occorre una gitarella a Colleferro, ritenuto luogo consono a conservare le nostre memorie. In un paese vissuto da ombre anche lo studioso irpino si fa ombra tra le ombre? O cosa d’altro?

Riporto un breve passo del libro per stimolare la curiosità ad acquistarlo e con la certezza che, vista la tristezza del vivere oggi in questa terribile situazione ed ancor più in questa città sì degradata, lo splendore raccontato possa essere di stimolo ad occuparsi delle cose comuni senza delegare ad altri quantomeno, per usare un eufemismo, disattenti. Buona lettura!

«Agylla dalle scoperte fatte e dai segni tuttora visibili del suo antico splendore, sorgeva a ottanta metri sul livello del mare, su quella rupe tufacea trapezoidale che, distendendosi vagamente a nord-est del moderno paese di Cerveteri, vien delimitato quasi artificialmente da due profonde vallate, l’una a oriente detta Mola solcata dal fiume Vaccino, l’altra a occidente detta Manganello attraversata dal torrente omonimo.
Lo spazio occupato dalla città è, nella maggior parte, quello che oggi vien detto Vignali – dalle vigne che vi si piantarono poi e che furono causa principale, se non unica, di scoperte preziose. Questa località, infatti, come si può vedere in uno dei registri più antichi (dell’epoca degli Orsini) esistenti nell’Archivio municipale di Cerveteri, era chiamata Civita –senza dubbio, dalla antica ubicazione della città.Dalla parte di settentrione Agylla si estendeva fin sotto le prime colline, e propriamente fino al limite della antica porta che ora è detta Porta Coperta – a oriente fin sopra Valle Zuccara – ad occidente fino al limite della roccia che sovrasta il Manganello – al sud fino al limite delle ripe dette volgarmente Greppe di S. Angelo compreso l’attuale castello.In uno spazio di circa 6 km di circuito poteva, nel suo maggiore grado di prosperità, contenere una popolazione di circa cinquantamila abitanti…»