Vi raccontiamo la toccante storia di Latfatime Ndiaye, profugo senegalese scappato dalla disperazione e dalla guerra
di Giovanni Zucconi
La storia di Latfatime Ndiaye mi ha ricordato molto quella di “Dagli Appennini alle Ande”. La sua è quella di un giovane ragazzo senegalese che, a poco più di 16 anni, lascia il suo povero villaggio per andare in cerca di sua madre, che non ha mai conosciuto, e che, per poterla finalmente abbracciare, vive una serie di incredibili avventure. E’ la storia di un ragazzo africano analfabeta che credeva che il mondo fosse semplice come il suo villaggio, tanto da pensare che si potesse attraversare il confine di quattro Stati, di cui uno sconvolto da una guerra interna, senza documenti. E che, in questa ricerca di sua madre, ha purtroppo conosciuto la crudeltà di uomini che lo hanno costretto a salire su un gommone con destinazione Italia. Destinazione Cerveteri, per essere più precisi. Abbiamo sempre pensato che i poveri emigranti africani che sbarcano sulle nostre coste non fossero tutti uguali, e che ognuno potesse raccontare una propria, diversa, storia personale. Quella di Latfatime Ndiaye ci è sembrata particolarmente significativa, e abbiamo deciso di raccontarla. Chi è Latfatime Ndiaye? Il suo nome era praticamente sconosciuto al mondo intero, fino a quando, due settimane fa, la lista civica AnnoZero ha emesso un comunicato stampa nel quale si annunciava, con orgoglio, che questo ragazzo, che era stato inserito nel 2013, a Cerveteri, nello SPRAR, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, era riuscito a ottenere il diploma di terza media. Per saperne di più, abbiamo contattato l’Assessora Francesca Cennerilli e il suo gruppo di lavoro dedicato al progetto, tra questi Lucia Lepore e Massimo Saltamerenda, che ci hanno fatto conoscere la storia della riuscita integrazione di questo giovane Senegalese. Latfatime Ndiaye è ragazzo che, come vedremo, non scappava da una guerra o dalla miseria più nera. Ma aveva sicuramente bisogno di un aiuto per diventare uomo in un mondo che era decisamente troppo grande e complicato per un ragazzo analfabeta che stava cercando, senza successo, la propria adorata madre. Il tema dei migranti e degli sbarchi sempre più numerosi sulle nostre coste è un argomento di assoluta attualità, e che sicuramente condizionerà fortemente il dibattito politico nei prossimi mesi, in vista delle elezioni nazionali. Per mancanza di spazio non approfondiremo questo tema come meriterebbe, ma ci limiteremo a raccontarvi la storia di Latfatime Ndiaye, e di come sia arrivato a Cerveteri. Nella seconda parte di questo articolo, che troverete nella sua versione integrale sul sito online, parleremo del progetto di crescita e di integrazione che lo ha coinvolto, e di cui la nostra città si dovrebbe sentire fiera. Ringraziamo l’Assessora Cennerilli e il suo staff per averci aiutato ad organizzato questa intervista con Latfatime Ndiaye.
Latfatime, ci puoi raccontare un po’ la tua storia? Da dove vieni? Perché hai deciso di venire in Italia?
“Io sono del Senegal e abitavo in un villaggio. Io da piccolo non ho conosciuto mia madre. Stavo con mio padre. Mio padre ha sposato un’altra donna che pensavo fosse mia madre. E dopo che ho saputo che non era mia madre, ho deciso di andarla a cercare. Quindi sono andato via dal villaggio. Mi avevano detto che poteva stare in una città che si chiama M’bour, e quindi sono andato lì per cercarla. In questa città ho incontrato uno che faceva il carrozziere. Mentre cercava mia madre, sono rimasto con lui a lavorare, e ho imparato il mestiere. Nel 2012, un mio amico mi disse che in Libia c’era molto lavoro come carrozziere. Io non avevo mai conosciuto la Libia. Non l’avevo mai sentita, ma ho deciso di andarci. Sono passato per il Mali, che confina con il Senegal. In Mali ci sono stato quasi due giorni e poi sono passato e sono andato n Burkina Faso, e poi in Niger, dove mi sono perso nel deserto.”
Sei poi riuscito ad arrivare in Libia?
“Si. Ma quando sono arrivato mi hanno arrestato.”
Perché ti hanno arrestato?
“Perché non avevo un documento per entrare.”
Ma tu non lo sapevi che bisognava avere i documenti per entrare in uno Stato? Poi nel 2012, in Libia c’era la guerra…
“Non sapevo che ci volessero i documenti. Io non conoscevo prima la Libia. Mi hanno arrestato e mi hanno detto che per uscire di prigione dovevo pagare dei soldi. Ma io non avevo soldi per pagare. Mi hanno dato il telefonino per chiamare i miei genitori per farmi mandare dei soldi. Ma io non avevo neanche il numero per poterli chiamare. Loro dicevano: se non paghi non esci vivo.”
Chiaramente non era una cauzione. Era una mazzetta…
“Un giorno, di giovedì, stavamo cenando nel cortile tutti insieme. E io ho saltato un muro e sono scappato via. Li ti davano da mangiare la mattina e solo la sera. Si mangiava una volta al giorno.”
Sei scappato da queste carceri libiche. Dove ti sei nascosto?
“Ho incontrato dei ribelli che giravano in macchina con i fucili. Io non avevo mai visto una cosa del genere. Loro mi hanno chiesto dove stavo andando. Ma non potevo rispondere perché non parlavo arabo. Poi si è avvicinato un Nigeriano che mi ha detto che vicino c’erano dei Senegalesi. Sono andato da loro, e uno di questi mi ha offerto un lavoro come pastore. Ho lavorato per lui per due mesi, ma non mi ha mai pagato. Poi ho lavorato come carrozziere per un meccanico del Ciad.”
Stavi sempre senza documenti?
“Si. Io non uscivo mai. Dormivo anche lì per non farmi vedere. Poi sono andato a Tripoli per farmi fare i documenti. Ma lì mi hanno arrestato di nuovo. Mi hanno preso tutti i soldi che avevo. Poi nel mese di agosto mi hanno detto che non potevo più tornare indietro. Ma non potevo neanche rimanere lì. Mi hanno detto che mi avrebbero portato in Italia con una barca. Io non sapevo cosa fare, ma loro mi ci hanno costretto.”
Chi erano questi? Militari? Funzionari del Governo?
“Non lo so. Tutti in Libia fanno i militari. Tutti portano i vestiti da militare. Mi hanno messo dentro un camion frigorifero, dove non si vedeva niente. Con questo camion mi hanno portato direttamente al mare e mi hanno messo su una barca.”
Immagino che dopo averti rubato tutti i soldi, si sono liberarti di te mettendoti su quella barca. Signora Lepore, cosa ne pensa di questa storia?
“Le storie di tutti gli otto africani che abbiamo ospitato convergono su un punto. Nessuno era partito per andare in Italia. Tutti erano andati in Libia per lavorare. Il lavoro lo avevano trovato, ma non li hanno mai pagati. Quando hanno protestato, li hanno fatti arrestare e li hanno messi in carcere. Non sappiamo chi fossero i carcerieri. Non sappiamo se fossero dei militari, dei ribelli o malfattori. Però è successo a tutti gli otto che abbiamo ospitato a Cerveteri.”
Latfatime, quindi tu non volevi venire in Italia?
“No. Io volevo rimanere in Africa per cercare mia madre.”
Ma quando sei sbarcato a Lampedusa, non potevi dire che non volevi venire in Italia, e che volevi tornare in Libia o in Senegal?
(Lucia Lepore) Lui non parlava italiano e non poteva spiegarsi. Ricordati che era analfabeta. Ed è stato portato già il giorno dopo a Civitavecchia, e poi subito a Cerveteri.
Tu vuoi tornare in Senegal?
“Certo. Nessuno vuole abbandonare la propria terra. Io poi devo tornare in Senegal per continuare a cercare mia madre. La devo conoscere. Ma poi voglio tornare in Italia per finire di studiare. Ho ancora molto da studiare. Devo fare un corso, di due anni, per imparare a diventare un bravo carrozziere. E poi voglio seguire un corso per computer.”
Magari possiamo lanciare, da L’Ortica, un appello a qualcuno che possa aiutarti a trovare tua madre. Come immagini la tua vita tra 10 anni?
“Il futuro non lo conosco, ma voglio migliorare piano piano, studiando. Vorrei diventare un bravo carrozziere o un coltivatore. In questi mesi ho anche fatto la comparsa a Cinecittà per il film Ben-Hur, per il film su Lampedusa, e per “Quo Vado?” con Checco Zalone. Ho imparato tante cose qui in Italia, e ringrazio tutti quelli che lo hanno permesso.”
PARLA L’ASSESSORE AI SERVIZI SOCIALI DI CERVETERI
Assessora Francesca Cennerilli, ci parli del vostro progetto che ha coinvolto Latfatime Ndiaye
“Latfatime è arrivato da noi nel 2013, con l’ampliamento di un progetto SPRAR di Santa Marinella. Ci chiesero la nostra disponibilità ad accogliere otto ragazzi. Mi sono consultata immediatamente con il Sindaco Pascucci e con Lucia Lepore. Insieme abbiamo deciso di ospitarli nel nostro Comune. Ricordo che il giorno in cui arrivarono a Cerveteri, la sera era previsto un concerto di Niccolò Fabi, che fu l’appuntamento più importante dell’Etruria Eco Festival di quell’anno. Pensammo che fosse importante fare sentire queste persone accettate dalla nostra comunità, e decidemmo quindi di farli salire sul palco per presentarli ai nostri concittadini, e per dimostrare loro quanto la città di Cerveteri potesse essere ospitale ed accogliente. Da quel giorno hanno iniziato un lungo percorso, affiancati da noi, seguiti da Lucia Lepore e da Massimo Saltamerenda. Devo dire che gli otto ragazzi sono stati accolti dalla comunità di Cerveteri in una maniera assolutamente fantastica. Molti cittadini comuni sono venuti da noi e ci hanno chiesto: che vi serve?”
Chi ha sostenuto i costi di questo progetto?
“Potevamo contare su un fondo europeo. Il Comune non ha speso un euro delle proprie casse. Abbiamo messo a punto un progetto integrato che ha permesso loro di frequentare una scuola, di imparare l’Italiano, e di seguire una montagna di attività e di esperienze importanti. L’obiettivo, che poi abbiamo raggiunto, era la loro integrazione in un contesto molto diverso da quello da cui provenivano, e di dotarli di strumenti che gli permettessero di trovare una loro collocazione nel mondo, qualunque essa poi sarebbe stata.”
Le prossime elezioni sicuramente si perderanno o vinceranno anche su questo tema. Non si può fare finta che il numero di persone che dobbiamo accogliere non sia un problema. Secondo voi, il Comune di Cerveteri si farà influenzare da questo scenario, e cambierà atteggiamento e disponibilità?
“Non bisogna mai tirarsi indietro di fronte alle proprie responsabilità. Stiamo parlando di esseri umani. E non ci si può mai tirare indietro quando si parla di essere umani. Noi siamo l’esempio di un Comune che funziona su queste tematiche, perché non subisce dei progetti che gli vengono calati dall’alto, ma li studia compatibili con il nostro territorio, e li rende attivi con un grande impegno e la collaborazione di tutti.”