TEDESCHI, BICICLETTE E KARTOFFELN: CORREVA L’ANNO 1944.
di Angelo Alfani
In attesa del tempo che ci attende a fine infezione, contrassegnato da centinaia di migliaia di lutti reali, da decine e decine di milioni di disoccupati, dai vampiri delle disgrazie collettive, ho pensato di narrare quanto avvenne da noi sul finire della guerra. Con una vena scanzonata,visto che, tra non molto, rischiamo di “nun’avecce manco l’occhi pe piagne”
A parte qualche algido intellettuale che aveva zompato il Manganello per una mistica passeggiata tra tumuli e tumuletti, non tralasciando di acquistare coccietti nella buia taverna di Pacifico Rosati, di tedeschi, a Cerveteri, non si aveva memoria.
Si erano visti sfilare i loro capoccioni lungo l’Aurelia l’otto di maggio del XVI anno dell’era fascista, rigidi come bastoni da scopa in pastrani di pelle infilzati da croci uncinate, non dissimili dai canari delle nostre metropoli, per assistere all’esercitazione aereonavale nello specchio d’acqua antistante Furbara ed a quella terrestre sulle polverose colline.
Così descrisse l’avvenimento un giornalista “Nella nostra corsa lungo l’Aurelia abbiamo trovato tutto il percorso pavesato di bandiere tricolori e croci uncinate. Ne erano state disposte a migliaia lungo le siepi, sui pali del telegrafo, sugli ingressi di vecchi casali, sugli alberi, sulle case cantoniere e sulle terrazze delle villette. Lungo i margini dei campi si vedevano gruppi di contadini e di donne che sventolavano il tricolore fascista, lunghe file di carri, ornati da striscioni e bandiere, trainati da buoi infiocchettati in modo vistoso, trattori e trebbiatrici decorate con fiori e drappi colorati. Un sole alto e caldo, stemperato da un lieve vento che rendeva appena percettibili gli squilli delle fanfare. Castel di Guido, Palo Laziale, Cerveteri, Furbara: sfilavano dinanzi alla macchina, schieramenti di Balilla, Avanguardisti, Camice nere.”
Gli alemanni ricomparvero sul pianoro di tufo dopo l’otto settembre quando un gruppetto di soldati piazzò accampamenti nello slargo del campo della Fiera.
Il tufo, per secoli silente, rimbombava sotto il frenetico passaggio di camioncini, sidecars e cingolati usciti dalle fonderie della Ruhr.
Uno sconvolgimento tale da innervosire l’altrimenti pacifico Dante lo stagnino, nonostante attendibili testimonianze confermano di sue lunghe conversazioni con un caporale altoatesino in lingua bresciana.
Venne scucuzzato un tumulo così da utilizzarlo come punto di avvistamento per il tanto annunciato sbarco alleato nel prospiciente mare. Una nota scritta, partita dalla Necropoli ed indirizzata a Villa Giulia, attribuisce ai teutonici l’esproprio, ai danni dei custodi stessi, di ben due maiali e ventinove galline.
Intensi profumi che fuoriuscirono dal tubo della cucina, piazzato in una tomba a camera, e mucchi di penne bruciate nel dromos, ammorbanti l’aria per alcune ore, ne comprovavano il misfatto. Ben più pesante divenne la situazione con l’arrivo, il due di febbraio, di mezzi e uomini più consistenti, che si stabilirono negli appartamenti dei custodi ed in altri alloggiamenti e magazzini requisiti.
Di fatto il comando era nella piazzetta Ruspoli. Da sempre si sono ascritte cordiali frequentazioni tra il principe poeta e Herr Dollmann, il cui arrivo in paese terrorizzava le tre famiglie antifasciste. Giunse finalmente l’odoroso giugno del ‘44. Mentre le jeep ballavano sui lucidi sampietrini romani, a Cerveteri aveva inizio una trattativa che lasciò col fiato sospeso i paesani.
Due giovani vennero accusati di aver preso in prestito biciclette dal locale presidio alemanno. Ne era scaturita una situazione assai difficile da gestire le cui imprevedibili conseguenze avrebbero potuto mettere a rischio la imminente infiorata del Corpus Domini nonché ilfuturo immediato dei due compaesani.
La trattativa, gestita da Pietro Alfani, si concluse ad ora tarda. In cambio dei paesani, i tedeschi, che non vedevano l’ora di svignarsela, pretesero la consegna di due sacchi di patate a prigioniero e, va da se, le biciclette.
Una improvvisata task force raggiunse, munita di lanterne ad acetilene e zappe, il terreno, piantato a patate, dei Calabresi, poco distante dalla Vigna del Prete.
La luna era ancora spiaccicata nel cielo allorquando una sfilza di camioncini della Wehrmacht lasciarono il pianoro tufaceo, carichi di sacchi di patate, vasi etruschi, biciclette e crucchi.
L’infiorata che seguì la liberazione fu ricordata per anni come una delle più partecipate. I due miracolati si distinsero per aver composto, appena fuori l’arco della piazzetta, un enorme cuore con petali di rose e papaveri, contornato dal giallo squillante e sdolcinato della ginestra.