CASO VANNINI, OGGI IL GIORNO DEL GIUDIZIO

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marco vannini

Si riunisce la Corte di Cassazione per la sentenza definitiva sul caso che sta tenendo sulle spine tutta l’Italia. Il  processo, i dubbi sulle indagini e le polemiche. Ripercorriamo tutte le tappe.

Oggi, venerdì 7 febbraio, è il giorno del verdetto. Il giorno più atteso dai familiari di Marco Vannini che da anni si battono per avere <<verità>> e <<giustizia>> per l’uccisione del ragazzo di Cerveteri avvenuta il 17 maggio del 2015 in casa dei genitori della sua fidanzata, a Ladispoli.

I giudici della Suprema Corte di Cassazione emetteranno la sentenza definitiva. E mentre da Cerveteri e Ladispoli e dalle altre città italiane i cittadini si sono organizzati, anche con i pullman, per arrivare al Palazzaccio di Roma, facciamo un passo indietro per ripercorrere le tappe della vicenda processuale.

Marco Vannini

Primo grado. E’ il 18 aprile 2018. La Corte d’assise in primo grado, presieduta dai giudici Anna Argento e Sandro Di Lorenzo, condannano a 14 anni il capofamiglia, Antonio Ciontoli, per omicidio volontario con dolo eventuale. E’ di 3 anni invece la condanna per omicidio colposo inflitta alla moglie, Maria Pezzillo e ai figli, Martina, la fidanzata di Marco, e il fratello Federico. Assolta dall’accusa di omissione di soccorso Viola Giorgini, fidanzata di Federico Ciontoli. Una sentenza che scatena le ire dei genitori di Marco. “Vergogna Italia! – aveva gridato in lacrime Marina Conte, la madre – non voterò più e straccerò le tessere elettorali. Mi hanno ammazzato un figlio di 20 anni e non l’hanno soccorso in tempo: Marco poteva salvarsi ma loro non hanno fatto che inventare una bugia dopo l’altra. Questa sentenza non è stata pronunciata nel nome del popolo italiano, non certo del mio”. Parole forti di una madre disperata.

Secondo grado. Accade anche di peggio però il 29 gennaio 2019. La Corte d’assise d’appello, presieduta da Andrea Calabria e Giancarlo De Cataldo riducono la pena ad Antonio Ciontoli da 14 a 5 anni. Non solo. Derubricano anche il reato in omicidio colposo. Confermate le condanne per il resto della famiglia a 3 anni. Anche in questo caso le reazioni dei Vannini non si fanno attendere ma sono le frasi del giudice Calabria nei confronti di mamma Marina (“se volete fare una passeggiata a Perugia, ditelo…) fanno il giro del web e vengono criticate anche dai vari ministri. In pratica una raccomandazione forte a non proseguire onde evitare una denuncia per oltraggio alla corte. Ed ora la Cassazione dovrà porre la parola fine ad un omicidio pieno di misteri e indagini approssimative dei carabinieri, oppure chissà rimandare tutto in Appello.

Marco Vannini

I fatti. Il 17 maggio 2015 Marco Vannini è a casa della fidanzata, nella villetta dei Ciontoli in via De Gasperi, a Ladispoli. Secondo la ricostruzione degli investigatori e secondo quanto raccontato dai Ciontoli, Marco si sta facendo una doccia nella vasca da bagno. Quando il padre della fidanzata entra e prende la pistola Calibro 9 dal marsupio, riposta in un armadietto, sparandogli. “L’arma mi è scivolata e involontariamente ho premuto il grilletto”, è questa la prima versione di Ciontoli fornita al pm di Civitavecchia, Alessandra D’Amore. “Ho premuto il grilletto volontariamente ma pensavo che la pistola fosse scarica”, è la seconda versione del sottoufficiale della Marina con un ruolo nei servizi segreti. Nessuno dei presenti in casa dichiara di essersi accorto dello sparo. Nessuno contatta i soccorsi in tempo. Chiamate al 118 partono anche da quella casa ma vengono annullate. All’arrivo dei sanitari nessuno riferisce che il ragazzo fosse stato colpito con una pistola. Persino all’arrivo del pit Ciontoli si presenta come carabiniere cercando di convincere il medico a non mettere nero su bianco l’accaduto. Bugie e omissioni che alla fine sono costate la vita ad un giovane di belle speranze che aveva un sogno: diventare un pilota dell’Aeronautica.

Le intercettazioni. Un vuoto di due ore in cui Antonio Ciontoli, l’uomo che ha ucciso Marco Vannini, effettua diverse chiamate che però non sono state mai intercettate. Un altro mistero, l’ennesimo sul caso. Dai documenti relativi ai tabulati telefonici e alle varie intercettazioni disposte dopo il decesso del ragazzo dal pm civitavecchiese, risulta che Antonio Ciontoli sia stato intercettato la prima volta alle ore 22.29 del 18 maggio. Oltre due ore dopo rispetto al resto dei familiari. Più di due ore dopo rispetto persino ai genitori della vittima. C’è un colloquio telefonico ufficiale ad esempio con un collega di Ciontoli. Chiamate mai “annotate” dagli investigatori anche allo Stato Maggiore dell’Esercito. Che cosa si saranno detti? Perché il gestore telefonico ha materialmente agganciato le telefonate dell’omicida per ultimo rispetto agli altri? Anomalia tecnica? Forse il contenuto di quelle conversazioni non si saprà mai.

Le indagini. “Ci è stato negato il sopralluogo in quella casa”, così Luciano Garofano, ex capo dei Ris di Parma, consulente dei Vannini. Garofano torna a ripercorrere quei momenti criticando l’operato degli investigatori. “Nel corso delle indagini preliminari non ci è stato consentito di entrare nella villetta Ciontoli, al contrario invece dei consulenti della difesa.Ci siamo basati su un fascicolo fotografico della polizia giudiziaria. La casa non è stata sequestrata e i rilievi, durati solo 6 ore, sono stati superficiali”, accusa il generale. I giudici hanno rifiutato la riproduzione dello sparo. “Parliamo di un rumore assordante equivalente all’azionamento di un martello pneumatico, cioè 130 decibel, in un ambiente chiuso. Lo sparo non poteva essere equivocato”, aggiunge Garofano che poi affonda ancora: “Mi domando come possa essere stato considerato un episodio colposo. Come hanno potuto gli inquirenti accontentarsi di una versione dei Ciontoli inventata? Marco nudo nella vasca da bagno che chiede di vedere le pistole del militare?”.

Tanti aspetti dell’omicidio non tornano. Come alcune parole di Antonio Ciontoli dette nella caserma dei Carabinieri di Ladispoli ma non messe a verbale, e quindi non utilizzate nelle indagini. Persino al pronto soccorso Antonio Ciontoli e i suoi familiari non hanno ammesso la verità di fronte ai medici, e cioè che un proiettile aveva centrato il povero Marco.