MOTIVAZIONI MOLTO FORTI QUELLE DELLA CORTE. E NEI GUAI POTREBBE RIFINIRE ANCHE VIOLA GIORGINI.
Erano attese e puntuali, entro i 60 giorni previsti, sono state pubblicate. Le motivazioni della sentenza bis legate al caso di Marco Vannini hanno lasciato poco spazio alle interpretazioni. Per i giudici gli imputati «hanno mentito, usando crudeltà e depistando».
Si potrebbero così sintetizzare le 80 pagine firmate dal presidente della Corte, Gianfranco Garofalo, che lo scorso 30 settembre aveva emesso le condanne per l’intera famiglia Ciontoli: il capofamiglia Antonio, nella Marina con un ruolo nei servizi ed esecutore materiale del delitto, a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale.
La moglie, Maria Pezzillo e i figli, Martina e Federico, a 9 anni e 4 mesi per lo stesso reato. Nelle motivazioni si legge che il decesso di Marco avvenuto il 18 maggio 2015 «ha privato prima di tutto i suoi parenti» ma anche la stessa Giustizia di conoscere una versione alternativa a quella fornita dai Ciontoli. Il che – mettono in dubbio i togati – «non si è certi di cosa sia realmente avvenuto tra quelle quattro mura», nella villetta di via De Gasperi. Accuse agli imputati
«Secondo il loro racconto – è riportato nelle motivazioni – Marco Vannini sarebbe stato attinto dal colpo di pistola nel bagno ma sono state rinvenute solo minime tracce di sangue e neanche gli indumenti che aveva indossato prima di farsi una doccia». Morte di Vannini, altro passaggio chiave, attribuibile «ai ritardi nella “corretta” segnalazione dell’accaduto ai soccorritori». Secondo i periti il 20enne sarebbe stato ferito alle 23,15. Da quel momento bugie ed omissioni. Con la prima chiamata al 118 delle 23.41 subito annullata. E dove nella seconda, alle 00.06, i Ciontoli hanno continuano a non riferire del colpo di arma da fuoco. Neanche al personale dell’ambulanza arrivato in via De Gasperi 24 minuti dopo. «Per un’ora e 50 minuti circa – è riportato nella sentenza – i Ciontoli ebbero a tacere a tutti la vera natura della ferita del Vannini, non consentendo un corretto e tempestivo intervento medico che avrebbe permesso di salvarlo». Per la Corte di secondo grado gli atteggiamenti dei Ciontoli «rasentano una vera e propria crudeltà nei confronti di un ragazzo ferito che urla di dolore e viene rimproverato per questo motivo, un ragazzo che è il fidanzato di Martina e che il padre afferma di tenerlo in considerazione come un figlio». Presa di posizione davvero molto forte questa da parte della Corte d’assise d’appello che senza batter ciglio ha ribadito che gli imputati abbiano tentato di accordarsi su cosa dichiarare. «Nell’intercettazione ambientale, Antonio, Federico e Martina Ciontoli cercano di addivenire ad una versione concordata circa le pistole, su dove si trovassero, su chi le avesse prese e tolte dal bagno».
Martina collocata sulla scena del crimine. Nel motivare la sentenza i giudici sostengono che «l’unico in grado di porre in crisi la costruzione di un omicidio per colpa era Marco Vannini ed ecco perché il suo decesso, in termini di mera convenienza personale, era da preferire alla sua sopravvivenza». L’unica preoccupazione di Antonio Ciontoli sarebbe stata quella di conservare il posto di lavoro e non essere licenziato. Non solo: secondo quanto scritto nelle motivazioni, Martina sarebbe stata in bagno al momento dello sparo e avrebbe assistito al ferimento del ragazzo. «Invece di intervenire per aiutare Marco – si legge ancora nella sentenza – aiuta il padre a depistare le indagini, contribuendo ad avvalorare la versione da lui fornita».
Valutazioni sullo sparo. I giudici si chiedono come sia possibile che il rumore prodotto da una Beretta calibro 9, specie in un ambiente ristretto come quello del bagno di casa Ciontoli, sia stato avvertito da tutti come «un tonfo». E poi ancora: «Come può qualcuno di media intelligenza, con il ferimento di Marco e vedendo le pistole in bagno, credere alla versione del colpo d’aria propinata da Antonio Ciontoli?». Infine il colpo di scena su Viola Giorgini, fidanzata di Federico Ciontoli e presente anche lei la sera della tragedia, sempre assolta. È stata ascoltata però come testimone ma non ha convinto i giudici. «Non ha portato ad alcun elemento nuovo che possa modificare il quadro probatorio già raggiunto». Anzi, la sentenza parla di una «assoluta assenza di credibilità».
Soddisfatto l’avvocato dei Vannini. «Tutte cose sempre dette e pensate e che ora – dice Celestino Gnazi – emergono con chiarezza in una sentenza. Attendiamo il definitivo verdetto della Cassazione. Certo, non sarà facile dimenticare chi ha affermato che quel colpo d’arma da fuoco e quella ferita non erano stati avvertiti neppure dal povero Marco. In ogni caso non verrà lasciato nulla di intentato affinché ognuno si assuma le sue responsabilità. Compresa Viola Giorgini, che denunceremo per falsa testimonianza». La difesa presenterà ricorso. «Le motivazioni rese dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma risultano affette da conclamate illogicità ed erroneità, che giungono ad adattare i dati probatori a convinzioni preconcette estranee al patrimonio istruttorio offerto dal processo. Il sostenere che gli imputati avrebbero pulito l’abitazione, il bossolo e la pistola, costituiscono, tra le molte altre incongruenze presenti in sentenza, congetture prive di concreti appigli istruttori, che saranno senz’altro oggetto di ferma censura nel prossimo ricorso per Cassazione», dicono gli avvocati Andrea Miroli e Pietro Messina.