Sugli spalti sempre meno spettatori, anche gli ultras disertano.
di Fabio Nori
Vedere uno stadio vuoto, fa più male che assistere al capezzale della squadra del cuore. Il Ladispoli che occupa una posizione precaria di classifica, ancora in corsa per i play out anche domenica scorsa, pur vincendo, ha giocato davanti a un silenzio assordante. Pochi spettatori sulle tribune, se escludiamo genitori e famigliari dei calciatori , vi erano più tutori delle forze dell’ordine che tifosi ladispolani. L’assenza degli ultras, in sciopero non si capisce se per i deludenti risultati o per le misure restrittive verso i loro compagni , è una mancanza importante, troppo se il Ladispoli vuole raggiungere la salvezza e continuare a scrivere la sua storia. Al presidente Paris, onestamente, non gli si può rimproverare nulla. Ad altri suoi collaboratori, si. Ladispoli è tornata nel calcio che conta, quello della serie D, dopo anni di anonimato. Rischia e seriamente di abbondonare una categoria invanamente cercata, sudata che è costata tanti sacrifici. Ora come non mai bisogna tirare fuori cuore, orgoglio e amore per la squadra della città. Oggi se non fosse per Umberto Paris questa squadra difficilmente sarebbe a giocare in serie D. Ladispoli negli ultimi anni è cresciuta in abitanti, ma non in mentalità: incollata a vecchi stereopati. Serve un’accelerazione, uno sprint vincente. La copertura della tribuna, assense ingiusticata di un impianto nuovo, è il manifesto dell’incertezza di una classe politica che non vede oltre il giardino di casa propria. Al di là delle parole, da domenica ai tifosi gli si chiede di tornare al fianco dei rossoblù. Aprilia , trasferta non lontanissima, è una delle prime battaglie per difendere la categoria. E cantare: resteremo in serie D.