Quando la Storia smarrisce una grande metropoli si corre il rischio di una nuova decadenza
di Giovanni Zucconi
Cerveteri ha una storia millenaria. Le sue origini si possono fare risalire ad un periodo intorno al 1500 a.C., quando era un villaggio di capanne chiamato Agylla, e che Erodoto definisce una città greca. In questo articolo non descriverò l’evoluzione della città, ma voglio concentrarmi su un particolare argomento: come sia possibile perdere completamente le tracce di una grande metropoli. Si calcola che Caere (Kysry come la chiamavano gli Etruschi) avesse nel periodo di massima potenza una popolazione di circa 30.000 abitanti. Una città molto grande per gli standard di quell’epoca, e con un’importante presenza romana nei secoli dell’Impero. Eppure, per molti secoli a partire dal basso medioevo, se ne era letteralmente persa ogni traccia: gli studiosi del passato non riuscivano più a trovare le prove certe su dove collocare l’antica Caere. C’erano diverse scuole di pensiero, in contrapposizione tra di loro. Una proponeva come ubicazione più probabile l’allora povero villaggio di Cerevetère, un’altra, più quotata, collocava l’antica Caere nel piccolo, ma grazioso, borgo di Ceri. Sicuramente l’assonanza dei due toponimi con il nome di Caere non aiutò molto chi si limitò a studi solo superficiali. Oggi sembrerebbe impossibile che si possa perdere le tracce di una città come Firenze o come Milano. Ma per Cerveteri, per Caere, è accaduto proprio questo. Su questo tema c’è un aspetto che mi preme evidenziare e sottolineare: c’è stato un destino comune tra la città dei vivi e la città dei morti. Sia il centro abitato che le necropoli, furono sepolti dalla Storia e dal tempo sotto una spessa coltre di oblio. Come se la memoria di una non potesse sopravvivere senza la presenza dell’altra.
Le cause di questa perdita di conoscenze sono da individuarsi soprattutto nella caduta e nella decomposizione dell’Impero Romano, e dalle conseguenti scorrerie dei vari popoli barbari che attraversarono il nostro territorio. Queste impoverirono la zona e dispersero gli abitanti in luoghi più sicuri. Il primo autore ad associare Cerveteri all’antica Caere fu l’umanista Biondo da Forlì (1392-1463) che, nel suo libro Roma restaurata et Italia illustrata, parlando di Santa Severa scrive: “… poco appresso va giù nel mare il fiume Ceretano al lato al quale, fra terra, è hora Cervètere terra che al tempo che i Galli Senoni pigliarono Roma fu detta Cere de’ conservati…”. Il fiume di cui parla è il Vaccina, e la definizione “Cere de’ conservàti” si riferisce alla conservazione e la difesa delle Vestali e degli arredi sacri di Roma al tempo del sacco dei Galli. In un periodo in cui il borgo di Ceri era considerato il legittimo erede della città di Caere, un altro studioso che la collocò correttamente nell’area dell’attuale Cerveteri fu il frate dominicano Leandro Alberti, che sostenne questa ipotesi in un suo libro del 1550, Descrittione di tutta Italia.
Nonostante queste fonti, l’enigma è continuato fino ai primi decenni del diciannovesimo secolo. Nel 1834, lo studioso Antonio Coppi, nelle sue Memorie pubblicate negli Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, sostiene che Ceri era stata edificata dove allora sorgeva Caere. Nel 1836, la stessa Accademia, a seguito della scoperta di alcune tombe etrusche nel territorio di Ceri, cerca di risolvere la questione affidandola ad un altro studioso: il Cav. Pietro Ercole Visconti. Ma le sue ricerche non riuscirono a determinare con certezza quale fosse l’erede della città Etrusca.
Ma la città dei vivi e la città dei morti, come abbiamo già detto, erano indissolubilmente legate allo stesso destino. E questo le fece emergere insieme dalle nebbie della Storia. Il ritrovamento delle antiche necropoli permise di ritrovare l’antica Caere. Furono i sempre più frequenti ritrovamenti, nel territorio di Cerveteri, di tombe monumentali e ricche di corredi che fecero cadere ogni dubbio su dove dovesse essere collocata l’antica Kysry.
Un episodio determinante fu, nel 1836, la scoperta della tomba Regolini-Galassi e del suo corredo principesco. La ricchezza di questa tomba, e l’ipotesi che avesse accolto un personaggio di primissimo piano di Caere, fece pendere di molto la bilancia a favore dei sostenitori di Cerveteri nella disputa con Ceri. Solo due anni dopo questo ritrovamento, nel 1838, l’architetto archeologo Luigi Canina, dimostrò definitivamente, nella sua opera Cere antica, che il povero villaggio di Cerveteri e non il borgo di Ceri, era il vero e legittimo erede della città etrusca scomparsa. La necropoli, la città dei morti, stavano emergendo dopo secoli dalla terra e dai rovi che l’avevano nascosta. A questo punto anche la città dei vivi, Caere, poteva finalmente rivelare il suo volto, invecchiato di secoli, in quello della moderna Cerveteri.
Questa coincidenza di destini deve servire da monito a tutti noi che abitiamo e amiamo Cerveteri. Riusciremo ad evitare una nuova decadenza e un nuovo oblio solo se saremo capaci di conservare e valorizzare il vasto e meraviglioso patrimonio archeologico che gli Etruschi ci hanno lasciato nel nostro territorio.