Avvocato Gnazi: “Omicidio Vannini, tutti responsabili, nessuno meritava le attenuanti”

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Avvocato Gnazi: “Omicidio Vannini, tutti responsabili, nessuno meritava le attenuanti”

Intervista a tutto campo con l’avvocato Celestino Gnazi, legale dei genitori di Marco Vannini

di Giovanni Zucconi

“Credo che questo Stato debba alla famiglia di Marco, ai suoi amici, a tutte queste migliaia di persone che sono venute in piazza, una giustizia vera, reale, profonda, che ci rappresenti e che non ci dia l’impressione che chi commette un omicidio rimanga impunito”.

“E quando episodi tanto agghiaccianti non si traducono nella giusta pena che la gente attende e che la legge deve garantire, è conseguente che i cittadini si allontanino dalla giustizia…

Estrapolare una frase da un discorso, senza contestualizzarla, è sempre un’operazione scorretta. Ma in questo caso permettetemi farlo, perché rappresenta semplicemente lo spunto per innescare un ragionamento molto delicato da trattare. Ho riportato due frasi, una del Sindaco Alessandro Grando e l’altra del Sindaco Alessio Pascucci, estrapolandole dai loro discorsi pronunciati di fronte alle migliaia di persone accorse a Cerveteri per partecipare alla manifestazione organizzata per chiedere “Giustizia e Verità” per Marco Vannini. Una fiaccolata imponente, come a Cerveteri, a memoria, non se ne erano mai viste. Una manifestazione che possiamo definire “quasi spontanea”, e per questo ancora più significativa. Proprio per la sua valenza che va evidentemente oltre la semplice testimonianza di solidarietà alla famiglia Vannini, noi de L’Ortica abbiamo voluto approfondire un aspetto che ci sembra corretto prendere in considerazione. Riprendiamo le due frasi di Grando e di Pascucci. Cosa intendevano quando chiedevano “…una giustizia vera, reale, profonda, che ci rappresenti…”, e “…una giusta pena che la gente attende…”? Hanno parlato di una sentenza “attesa” dalla gente, e che deve rappresentare una Comunità. Ma cosa vuole dire tutto questo? E’ evidente, per chi ha partecipato all’evento, lo spirito e il contesto nel quale sono state pronunciate queste frasi. Ma riteniamo sia comunque necessario osservare che qualcuno potrebbe interpretare questo tipo di manifestazioni come un precedente nel quale, una sentenza emessa da un Giudice, viene messa in discussione dalla “piazza”. E’ evidentemente un tema troppo delicato per essere trattato in modo superficiale e pregiudiziale. Abbiamo quindi chiesto di approfondirlo con uno dei protagonisti della vicenda giudiziaria che stiamo raccontando: l’avvocato Celestino Gnazi, che ha patrocinato la famiglia Vannini in tutte le fasi del processo di primo grado.

Avvocato Gnazi, cosa risponde a chi ha pensato che la manifestazione del 17 maggio scorso assomigliava pericolosamente ad un tentativo di imporre una Giustizia di piazza?

“Secondo me non è questo. Non può essere certamente definita eversivo un corteo dove sfilavano, insieme ai familiari, anche rappresentanti delle forze dell’Ordine e delle Istituzioni. I partecipanti intendevano certamente esprimere un durissimo giudizio morale, ma questo è un altro discorso. Io credo che nessuno di loro volesse una Giustizia di piazza. Ma per capire cosa è successo dobbiamo partire dall’inizio. Io ho subito capito che in questa vicenda ci sarebbero stati due livelli di giudizio. Uno è quello del giudizio morale, come effettivamente si è formato nella gente dopo aver ascoltato le registrazioni e le testimonianze, dopo aver avuto la contezza di quello che era accaduto. Perché, non nascondiamocelo, i fatti sono chiarissimi e sono agghiaccianti. Ed è giusto che tutti quelli che hanno potuto sapere come è andata la vicenda, si siano costruiti un giudizio dal punto di vista morale. Il secondo livello è quello dato dalle leggi, dalle loro interpretazioni e dal nostro sistema applicativo. E considerando questo secondo livello, ho sempre saputo che al severissimo giudizio morale non poteva corrispondere un corrispondente trattamento giudiziario.”

Sta parlando di una pena adeguata?

“Io sono dell’opinione che nessuno debba essere condannato all’inferno, a morte o a cose di questo genere. Però è essenziale partire da una completa assunzione delle proprie responsabilità. Ognuno si deve assumere le responsabilità di quello che ha fatto. Tutti devono essere riconosciuti responsabili per quello che hanno fatto, e secondo la gravità delle cose che hanno commesso. Ed essere puniti con la massima severità possibile, se i fatti sono gravi. Questo non per spirito di vendetta, o per un’espiazione fine a se stessa. Anzi, la sentenza deve essere proprio un momento di ripartenza per i responsabili.”

Si spieghi meglio

“Un conto è comminare una pena severa in un processo, e un conto è l’espiazione di questa. Sono due momenti differenti. E’ vero che bisogna tendere ad una rieducazione e ad una riabilitazione, ma solo dopo che la sentenza è stata emessa, e quando già siamo nella fase esecutiva della pena. Quando siamo ancora nella fase processuale, i falsi pietismi e i perdonismi rappresentano un’ingiustizia enorme, che portano ad altre ingiustizie. Non servono a nulla. In questa fase, secondo me, bisogna essere duri. Ognuno deve rispondere per quello che ha fatto. Poi ci sarà tempo e modo, nella fase di espiazione, di seguire un eventuale processo di riabilitazione e di mitigazione della pena, fermo restando che, in assenza di un vero pentimento la pena dovrebbe essere espiata per l’intero.”

Secondo lei, i Ciontoli hanno avuto la giusta pena per quello che hanno fatto?

“Parliamo solo di giudizio penale e non di giudizio morale. All’inizio di questa tragica vicenda, tutti pensavano ad un omicidio colposo a carico di chi aveva esploso il colpo di pistola, e ad una omissione di scorso per gli altri. Vista in questi termini, dal punto di vista penale, si sarebbe risolto tutto sostanzialmente con un buffetto sulla guancia e tutto sarebbe rapidamente finito nel dimenticatoio. Io mi sono da subito ribellato a questa eventualità, che ritenevo assolutamente concreta, ma assolutamente ingiusta. Di fatto (lasciamo stare Viola Giorgini perché la questione si farebbe troppo lunga), la famiglia Ciontoli è stata rinviata a giudizio per omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale, e la Corte di Assise, in primo grado, ha condannato il capofamiglia per omicidio volontario, e moglie e figli per omicidio colposo. Ha dunque affermato che la vita di Marco è stata spezzata da quattro assassini, sia pure a diverso titolo di responsabilità. Non è una sentenza di poco conto, anzi è vero il contrario, fermo restando che, secondo me, erano tutti responsabili come il capofamiglia e nessuno meritava le attenuanti.”

Essere riusciti a fa condannare il signor Antonio Ciontoli per omicidio volontario mi sembra un risultato notevole e inaspettato. Non vorrei sbagliarmi, ma credo che ci siano pochi precedenti per simili accoglimenti nella storia giudiziaria. Ma, nonostante questo, le pene appaiono però assai miti.

“In effetti, ci sono pochissimi precedenti di condanna per omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale. Anche il caso in sé è del tutto anomalo ed è destinato ad essere studiato nei testi universitari. E’ chiaro però che il dolore dei genitori non potrà mai trovare sollievo da queste riflessioni e quello che provano non sarebbe stato riparato neppure con l’ergastolo, perché il loro figlio ventenne è stato condannato a morte da condotte incomprensibili e non chiarite. E comunque fermo restando che gli unici condannati all’ergastolo sono loro. E poi, volete che non si chiedano perché nessuno delle quattro persone riconosciute come assassine del proprio figlio abbino mai fatto un giorno di carcere?  Lei mi chiede delle pene. L’omicidio volontario parte da 21 anni, senza aggravanti. Nel caso di Antonio Ciontoli sono state riconosciute delle attenuati generiche, che hanno portato la pena a 14 anni. Non sono d’accordo, ma non è scandaloso che la Corte abbia pensato diversamente ed abbia riconosciuto delle attenuanti. Quello che ritengo assolutamente sbagliato è averle riconosciute anche a chi è stato condannato per omicidio colposo (punibile nella misura massima di 5 anni), limitando a 3 anni la pena irrogata. Come dicevo prima, a mio parere, le pene dovrebbero essere sempre e massime possibili, quando le responsabilità sono gravi. Poi in fase di espiazione, se siamo in presenza di un processo di reale assunzione delle proprie responsabilità, che in questo caso non c’è stato, si può pensare ad percorso di riabilitazione e di sconti della pena.”

 

Torniamo alla domanda iniziale. Questo tipo di manifestazioni non possono essere scambiate come un tentativo di contestare una sentenza legittima?

“Io credo che tutto deve essere trattato alla luce del sole. Tutti abbiamo il diritto di capire i motivi di un giudizio. Io non posso affidarmi, a prescindere, al giudizio di una persona o di una istituzione, solo perché, per esempio, è un Sindaco, un Carabiniere o è un Giudice. Accetto le sentenze, ma vorrei sempre capire perché sono state emesse, e su quali basi. Perché la giustizia viene amministrata in nome del Popolo. Le udienze sono pubbliche, e tutti vi possiamo assistere. Nessuno può pensare di sostituirsi ad un Giudice ma, come cittadini, abbiamo il diritto di capire, di farci un’opinione e, in caso, di pensare diversamente dal Giudice. Ci può stare. Le manifestazioni, in questi casi, non mi entusiasmano, ma quello che voglio dire è che tutto deve essere trattato alla luce del sole.”

Quindi lei pensa che, con questo tipo di manifestazioni, siamo in presenza di un contrappeso utile e necessario per la nostra Società?

“Assolutamente sì, se per manifestazione si intende la trattazione pubblica di un argomento. E’ possibile che qualche volta possa sfuggire di mano, magari nei toni, ma la possibilità di formarsi un giudizio, è un contrappeso necessario. Qualcuno dice che fino a quando non ci sia la sentenza passata in giudicato non si dovrebbe mai parlare. Chi non vuole questo tipo di trattazione anche pubblica, dice questo e parla di spettacolarizzazione. Non sono d’accordo. Se parliamo di una manifestazione, è chiaro che la parola in più può scappare, ci può essere l’esagitato, ed allora vediamo se è un soggetto folcloristico o è un soggetto pericoloso. Ma questi sono aspetti diversi. La cosa fondamentale è decidere se la Giustizia deve essere amministrata nel chiuso di una stanza, oppure pubblicamente. E partendo dal principio che il processo è pubblico, possiamo sicuramente anche dire che gli atti giudiziari si possono discutere. Il cittadino deve essere messo nelle condizioni di esprimere un meditato giudizio (non necessariamente negativo) anche morale sugli imputati. Lo facciamo sempre, in senso negativo, per esempio, con i pedofili. Gli assassini sono assassini solo quel giorno? Dopo di che si possono mettere in giacca e cravatta e riprendere la loro vita come niente fosse? Non è questo il concetto di giustizia che mi appartiene. Devono assumersi la piena responsabilità di quello che hanno fatto. E poi ci può anche essere il percorso di riabilitazione. Ma dopo. E’ giusto ribellarsi, ad esempio, ed esprimere il proprio giudizio morale, di fronte a gente che nega anche l’evidenza.”

Quindi nessuno, a suo parere, ha voluto sostituirsi ai Giudici

“Naturalmente no. La manifestazione guardiamola per quello che è: un’indignazione e una solidarietà nei confronti dei genitori di Marco, che hanno subito una tragica ingiustizia. L’ingiustizia deriva dall’aver perso il figlio, e non sapere il perché. Dal fatto che delle persone che lo avrebbero potuto salvare non hanno fatto nulla. Queste cose creano rabbia. Per questo la manifestazione va vista solo sotto l’aspetto emotivo. Non voleva essere un rivoluzione. Comunque, ripeto, non mi entusiasmano”

Perché c’è stata una manifestazione così imponente proprio per questo caso giudiziario?

“In effetti, poche volte mi è capitato di assistere al formarsi di una opinione pubblica così numerosa e compatta. Non so che significato possa avere, ma qualche domanda occorre farsela. In ogni caso, probabilmente siamo arrivati a questa situazione perché i Ciontoli negano anche l’evidenza. Hanno raccontato cose che non stanno né in cielo, né in terra. Lui che può entrare tranquillamente nel bagno, mentre Marco si fa il bagno nudo nella vasca, per fargli vedere una pistola. Come se fosse una cosa normale. Sono loro che hanno fatto infuriare l’opinione pubblica. Poi non si può nemmeno dire: “Hanno diritto di dire bugie”. No. Non sono punibili se dicono bugie, ma mentire è un disvalore, in questo caso enorme. Significa avere un atteggiamento processuale che andrebbe punito. Ti dovrebbero negare, a mio parere, almeno le attenuanti generiche.”

Secondo lei il Giudice di Appello potrà essere condizionato da questa manifestazione?

“No. Addirittura potrebbe avere un effetto contrario. Il giudice ha sempre il dovere di essere autonomo e libero. Non si deve fare condizionare da nessuno. E non credo che questa manifestazione possa condizionare alcunché”

Ma se poi quello conta in un giudizio sono solo quello che si discute in udienza e le prove processuali, a che cosa servono 10.000 persone che manifestano? Quale può essere il loro reale contributo alla Giustizia?

“Credo che sia semplicemente libertà di espressione, un valore che va difeso ad ogni costo. Io ricordo che, molto tempo fa, votai convintamente Enzo Tortora per farlo uscire dal carcere, facendolo diventare deputato Europeo. Perché lo feci? Perché ero tra quelli che pensavano che in quel processo si stava consumando una colossale ingiustizia. Ora tutti la pensano in questo modo. Se però la questione Enzo Tortora fosse rimasta chiusa dentro una stanzetta e nessuno avesse saputo nulla, probabilmente Tortora sarebbe morto in carcere da trafficante di droga. Voglio provocare: se non ci fosse stata la “spettacolarizzazione”, la gente avrebbe potuto pensare: …c’è una sentenza di un giudice, e quindi Tortora è un mercante di morte.”

Quindi contestare un Giudice non è una cosa sconveniente, rimanendo naturalmente nei termini civili

“Assolutamente no, se con ciò intendiamo esprimere opinioni diverse. Naturalmente, fuori dal processo, ci dobbiamo limitare solo a un giudizio morale e solidaristico, e non tecnico. Non possiamo metterci a discutere se andavano dati 20, 10 o 5 anni.  E bisogna anche fare in modo che il giudice non sia influenzato. Deve sempre poter mantenere la sua serenità di giudizio. Ma questo dipende soprattutto da lui. In questo caso non riesco a vedere rilevanti interferenze esterne.