LI PORTA SUL GRANDE SCHERMO IL REGISTA GABRIELE MAINETTI CON “FREAKS OUT”. TRA I PROTAGONISTI CLAUDIO SANTAMARIA E GIORGIO TIRABASSI.
di Barbara Civinini
Eduardo De Filippo diceva che “Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita”. Lo stesso sforzo lo troviamo nell’opera seconda di Gabriele Mainetti, arrivata in questi giorni al cinema dopo una lunga attesa – il film era pronto dal 2020 – che porta sul grande schermo la straordinaria umanità dei diversi, i veri protagonisti della storia dai poteri straordinari.
Un film sospeso tra il visionario, il neorealismo e i supereroi della Marvel made in Hollywood, con uno spiccato innesto di romanità. Una seconda volta molto attesa dopo il successo de “Lo chiamavano Jeeg Robot”, premiato con 7 David di Donatello, tratta da un soggetto dell’amico Nicola Guaglianone con cui il regista ha condiviso la sceneggiatura. “Freaks Out, dice il Mainetti, nasce da una sfida: ambientare sullo sfondo della pagina più cupa del Novecento un film che fosse insieme un racconto d’avventura, un romanzo di formazione e – non ultima – una riflessione sulla diversità. Per farlo, prosegue, ci siamo avvicinati alla Roma occupata del 1943 con emozione e rispetto, ma allo stesso tempo abbiamo dato libero sfogo alla fantasia: sono nati così i nostri quattro freak, individui unici e irripetibili, protagonisti di una storia più grande di loro”. Siamo a Roma durante l’occupazione nazista. Matilde (A.Giovinazzo), Cencio (P.Catellitto), Fulvio (C.Santamaria) e Mario (G.Martini) vivono come fratelli nel circo di Israel (G.Tirabassi). Quando Israel scompare misteriosamente, i quattro “fenomeni da baraccone” restano soli, e qualcuno ha messo gli occhi su di loro. Il perfido direttore del circo tedesco, Franz, il pianista con 12 dita (F.Rogowski), li sta cercando perché le sue visioni gli hanno detto che sono l’unica possibilità di sopravvivenza per il Terzo Reich.
La messa in scena è degna dei migliori talenti artigianali del cinema italiano, come quello di Matteo Garrone nel “Racconto dei racconti”, liberamente ispirato alla raccolta di fiabe in lingua napoletana di Giambattista Basile, ma non tutta la critica è amichevole. Sottolinea le molte citazioni da “Roma città aperta” di Roberto Rossellini, a “Il mago di Oz” di Victor Fleming, da “L’armata Brancaleone” Mario Monicelli, a “Edward mani di forbice” di Tim Burton. Secondo “Il Giornale” il film procede per accumulo, rischiando di mischiare troppo di tutto. La pellicola a Venezia ha vinto il Leoncino d’oro – il premio attribuito da Agiscuola – perché, dice la motivazione, si tratta di “un’opera innovativa e coraggiosa, che racchiude in una grande avventura fra sogno e realtà, tutto l’amore per il cinema”.
È prodotta da Goon Films, la società fondata dallo stesso regista nel 2011, con Lucky Red e Rai Cinema, in coproduzione con la belga Gapbusters. Certo un film che vale la pena di vedere, anche perché parafrasando il maestro Proietti, siamo al cinema,dove tutto è finto ma niente è falso.