L’ultima fatica di Antonio Albanese di cui è protagonista, regista e sceneggiatore con Piero Guerrera. Racconta la parabola del mondo sparito degli onesti.
di Barbara Civinini
“La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”, scriveva Corrado Avaro. E forse, è proprio questo dubbio che ha riportato il mattatore di “Qualunquemente” nella sua Olginate, nel Lecchese, dove è cresciuto, per raccontare con “Cento domeniche” la sfortunata parabola di un operaio onesto, truffato proprio dalla banca del paese dove vive. Perché la vita, oggi, non è più meravigliosa come raccontava Frank Capra in uno dei suoi capolavori, fra i più amati del cinema americano. E a Olginate non arriverà nessun angelo, neanche di seconda categoria, ad aiutare il protagonista della nostra storia, Antonio Riva, interpretato da Antonio Albanese che non solo ha firmato la regia del film, ma ha curato anche la sceneggiatura con Piero Guerrera.
Antonio Albanese regista
Il dramma di Antonio, ex operaio di un cantiere nautico, che conduce una vita mite e tranquilla, inizia quando la figlia Emilia (Liliana Bottone) gli annuncia che ha deciso di sposarsi. Antonio finalmente le potrà regalare il ricevimento che hanno sempre sognato insieme. Ma che fine hanno fatto i suoi risparmi di tutta una vita? Ben presto Antonio scoprirà che chi custodisce i nostri tesori non sempre custodisce anche i nostri sogni.
Il film in sostanza racconta una delle tante storie di ordinaria avidità che hanno travolto le esistenze di centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori: Riva è solo una delle tante vittime dei crack bancari. In fondo si tratta di un tradimento. In quella provincia operosa dove è cresciuto, della banca del paese ci si è sempre fidati. La banca è una sorta di confessionale: conosce vita, morte e miracoli di tutta quella comunità. Ne ha accompagnato la crescita e finanziato il desiderio legittimo di avere una casa propria. Per questo, alla scoperta del raggiro, la prima reazione di Antonio è d’incredulità. Poi subentra lo smarrimento e l’angoscia di chi è stato tradito proprio da chi si fidava, la vergogna di non aver intuito quanto stava accadendo. “Ho sentito la necessità di raccontare questa storia, non solo per l’universalità che esprime, ma soprattutto mi ha colpito la dignità che le persone come Antonio hanno manifestato in queste circostanze, spiega il regista. La fiducia nel proprio lavoro, l’attaccamento alle proprie radici, quella straordinaria capacità di accontentarsi e di vivere una vita serena fatta di piccole cose e di relazioni autentiche”. Per questo motivo, rimarca Albanese, abbiamo deciso di dedicare questo film alle centinaia di migliaia di persone tradite dall’avidità.
Alla Festa del Cinema di Roma, dove è stato presentato, l’ha definito un film necessario che gli ha consentito di raccontare con la storia di Antonio un vero e proprio dramma collettivo. Del resto anche Don Milani si poneva una semplice domanda: “A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?” La pellicola è prodotta da Palomar e Leo in collaborazione con Vision Distribution e Sky.