Vi raccontiamo la tragica e misteriosa storia di due poliziotti uccisi dalla mafia e di inchieste quantomeno singolaridi Antonio Calicchio
E’ la storia di due ragazzi, in divisa: uomini di legge, poliziotti che avevano una passione e un sogno. Due ragazzi, cioè che, tra guardie e ladri, avevano scelto di essere guardie che prendono i ladri: è la storia di Antonino Agostino e di Emanuele Piazza, storia che potrebbe diventare un romanzo, da ambientare a Palermo, tra agosto 1989 e marzo 1990.
Sono le 19,40, di una domenica estiva: 5 agosto 1989; Antonino Agostino è un giovane agente di polizia. Non è in servizio, dovrebbe esserlo in quanto il suo turno finisce alle 20, ma ha chiesto un permesso perché è il compleanno della sorella, a casa dei genitori, in cui si trova in compagnia della moglie che aspetta un figlio.
Ma dinanzi a quella casa, si fermano degli uomini a bordo di una moto ed iniziano a sparare: Agostino è sprovvisto di pistola poiché è fuori servizio e cade colpito dai proiettili, unitamente alla moglie.
La moto verrà ritrovata, qualche giorno dopo, ad un chilometro di distanza, bruciata, ma dei killer nessuna traccia.
Perché Agostino è stata assassinato, insieme alla moglie, poi?
Qualche giorno dopo, una rivendicazione, all’Ansa di Palermo; poi, ne perviene un’altra, ai carabinieri, con riferimenti all’attentato – fallito – a Giovanni Falcone, presso la sua villa al mare. Ulteriore particolare è che, quando è stato ammazzato, davanti alla casa del padre, Agostino non doveva essere là, bensì a terminare il turno: ma i sicari erano là, quasi lo aspettassero e lo sapessero.
La sera dell’assassinio la polizia va a perquisire la casa in cui viveva Antonino con la moglie e rinviene una busta con dei fogli; ritrovati la sera stessa, secondo la sorella e il padre di Agostino, qualche giorno dopo, secondo il verbale della polizia.
E la morte dell’agente e di sua moglie sparisce fra i misteri, destinati al dimenticatoio perché insoluti.
Ma accade qualcosa.
Emanuele Piazza, un altro poliziotto, vive in provincia di Palermo e improvvisamente scompare. Egli è passato dagli incarichi nelle guardie del corpo del presidente della Repubblica a quelli alla narcotici di Roma, in cui rassegna le dimissioni e torna a Palermo. Ma per i suoi valori e le sue idee – al pari di quelli di Agostino – decide di stare da una parte, con le guardie e diventa poliziotto. Il suo desiderio è entrare nei Servizi segreti. E così, dopo la sua sparizione, hanno inizio le indagini: Falcone dà incarico al dirigente della Squadra mobile di Palermo di udire i funzionari che hanno instaurato rapporti con Emanuele, e costoro inviano meri rapporti di servizio in cui si dice che non vi è nulla di particolare e che Piazza non ha mai avuto legami coi Servizi segreti. E la cosa si ferma. Per sette mesi.
Appare tanto strana la scomparsa di Piazza, quanto la morte di Agostino, i cui destini sono entrambi avvolti dal mistero. Ma Falcone insiste e si documenta sulle indagini, così da premere sui funzionari del Sisde affinché rispondano alle domande su Emanuele. Lavorava per i Servizi segreti o no? Nell’ottobre 1990, un ufficiale risponde a Falcone che Emanuele era in contatti coi Servizi segreti, anzi collaborava con essi, ma non in maniera significativa. Il Servizio segreto civile, conferma. Questo era Emanuele, vale a dire un aspirante agente segreto in prova.
Il padre di Emanuele non ci sta.
E neppure ci sta il padre di Antonino. Entrambi – sebbene indipendentemente l’uno dall’altro – si muovono a tal punto da evitare che nulla cada nell’oblio.
Ed emergono taluni punti in comune fra i due giovani.
Ad Emanuele era stato domandato di indagare in merito all’assassinio di Agostino; Antonino lavorava per lo stesso commissariato cui faceva riferimento Emanuele. Entrambi erano sommozzatori.
Nel febbraio 1992, il Gip archivia l’inchiesta sulla scomparsa di Emanuele; il procedimento è riaperto nel giugno dell’anno successivo ed archiviato a maggio 1996.
Poi, qualcuno parla.
Un amico ed informatore di Emanuele.
Il sostituto procuratore presso la Dda di Palermo dice che tale amico di Emanuele “ha fornito una versione dei fatti dettagliata, particolareggiata, tanto che ha consentito di acquisire riscontri obiettivi di sicura portata significativa”. E in cosa consiste questa versione? Nell’omicidio di Emanuele che viene riferito anche da altro partecipante all’azione delittuosa.
Il processo di primo grado termina nel novembre 2001, condanna gli autori dell’omicidio, ivi compreso l’amico informatore di Emanuele, benché con pene differenti.
Pertanto, Emanuele lavorava per i Servizi segreti, la polizia sa chi era il suo informatore, ma, quando Emanuele sparisce, non pone in correlazione la loro amicizia, nessuno riferisce all’autorità giudiziaria.
Ma vi è un altro interrogativo riguardo all’uccisione di Emanuele. Se l’amico di Emanuele non ha mai detto che Emanuele fosse uno sbirro, allora gli altri come l’hanno saputo?
E Antonino? Perché viene assassinato Agostino?
La moglie ed Antonino vengono ammazzati nell’agosto 1989, Emanuele nel marzo 1990.
Qua finisce la storia di Emanuele e di Antonino.
Due poliziotti, due guardie che, analogamente a numerosi altri appartenenti alle Forze dell’ordine, sono stati uccisi nella lotta alla criminalità organizzata. Per Emanuele – in un certo qual modo – giustizia è stata fatta. Per Antonino, ancora no. Suo padre dice: “Io sono suo padre! Un padre che a distanza di anni chiede verità e giustizia. Io chiedo questo: la verità, la giustizia. Se c’è! Se non c’è questo … che cosa ci stiamo a fare?”.