ANTEO ZAMBONI: IL RAGAZZO CHE TENTÒ DI UCCIDERE MUSSOLINI

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UNA VICENDA RICCA DI STORIA E DI SIGNIFICATI CHE ASSUME UN ADOLESCENTE COME SIMBOLO DELLA BOLOGNA DEMOCRATICA ANTIFASCISTA

Un anarchico italiano morto per mano di un disumano linciaggio da parte degli squadristi fascisti a soli 15 anni, per aver tentato di uccidere il Duce.

Il 1918 è la data che ha segnato la fine della I Guerra Mondiale, dalla quale l’Italia è uscita devastata sia dal punto di vista economico che sociale. I primi anni del Dopoguerra sono stati agitati da forti tensioni e proteste per contrastare principalmente l’inflazione e la disoccupazione, tanto che il periodo che va dal 1919 al 1920 è ricordato come «Biennio rosso».

A quei tempi il movimento socialista si rafforza e il suo esponente di spicco è proprio Mussolini, espulso dal Partito Socialista Italiano perché a favore dell’entrata in guerra del Paese. Nel 1919 Benito fonda a Milano i Fasci italiani di combattimento, movimento politico che getta le basi per la nascita del Fascismo, caratterizzato fin dalle sue origini dall’uso costante della violenza.

Nel 1921 diventa Partito Nazionale Fascista.

Squadre organizzate, fascio littorio, camicia nera. Questi i tratti distintivi dei fascisti, i quali guidano spedizioni contro esponenti e sedi di Sinistra. Terrorizzano e umiliano gli avversari politici e raccolgono numerosi consensi soprattutto da parte del ceto medio, proprietari terrieri e industriali.

Nelle elezioni del 1921 i fascisti entrano per la prima volta in Parlamento e nel 1922 organizzano una manifestazione armata sovversiva, la celebre Marcia su Roma (avvenuta il 28 ottobre).

Vittorio Emanuele III (1869-1947), per evitare di coinvolgere l’esercito, convoca a Roma Benito Mussolini e gli commissiona la formazione di un nuovo governo. Le prime dichiarazioni di quest’ultimo sono cariche di minacce e violenza, tuttavia sottovalutate. Viene istituita una Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, riconosciuta legalmente nel 1923 e, i componenti della quale, non tengono conto di nessun controllo legale.

Nel 1924 le nuove elezioni sono vinte dal Partito Fascista grazie alla Legge Acerbo, una riforma elettorale voluta da Mussolini stesso.

Sullo sfondo di un Paese che si sta trasformando in una vera e propria dittatura, tra irregolarità e violenze, emerge, tra le altre, una figura alla quale in un primo momento non viene data molta importanza.

Anteo Zamboni nasce a Bologna l’11 aprile del 1911. Figlio minore di mamma Viola e papà Mammolo (tipografo ex anarchico convertitosi al Partito Fascista per motivi economici), in casa veniva affettuosamente chiamato «Patata». Un ragazzo comune che non si distingue per nessuna specifica peculiarità. Lavora come fattorino nella tipografia.

Insomma, una personalità anonima.

Il 31 ottobre del 1926, quando il giovane Anteo ha solo 15 anni, Benito Mussolini si trova a Bologna per l’inaugurazione del nuovo stadio del Littoriale. Al termine dei festeggiamenti dell’evento il Duce si dirige verso la Stazione Centrale per fare ritorno a Roma. Presso l’angolo di via Rizzoli, dove la macchina è costretta a rallentare a causa della curva, il nostro Anteo esplode, quasi a bruciapelo, un colpo di pistola che attraversa il bavero dell’uniforme di Mussolini, la fascia dell’Odine Mauriziano che indossa, il cappello a cilindro del Sindaco Umberto Puppini (1884-1946) e si pianta nella tappezzeria del sedile posteriore dell’auto.

Il Duce rimane illeso.

Arconovaldo Bonacorsi (conosciuto come “Bonaccorsi”, 1898-1962), uno dei capi più estremisti della città di Bologna, scaglia contro il povero giovane un gruppo di fascisti particolarmente devoti al Duce.

Il giovane Anteo è brutalmente aggredito e massacrato. Il corpo riporta evidenti segni di calci, pugni, ma anche ferite da pugnale (probabilmente a stiletto). Ormai morto il ragazzo viene trascinato verso la parte opposta della strada e crudelmente linciato. Violenti strattoni e sputi trucidano e tormentano l’inanimato corpo dell’adolescente.

Ancora oggi l’intera vicenda è avvolta dal mistero. Viene immediatamente notato l’abisso fra la figura di un giovanotto incompetente e la grandezza di un tale gesto, distinto da un’incredibile precisione, nei confronti del Duce.

Dopo questo avvenimento Benito Mussolini, che già aveva in mente di fondere la sua persona e il Fascismo con lo Stato, coglie l’occasione per inasprire ancora di più le regole. Viene, infatti, introdotta la pena capitale, istituito un tribunale speciale e sciolti tutti i partiti politici, ad eccezione, naturalmente, di quello fascista.

Il responsabile è stato Anteo Zamboni o è stato vittima di uno cambio di persona?

Nell’Archivio Centrale dello Stato è stata rintracciata una lettera anonima indirizzata al Ministro degli Interni, Luigi Federzoni (1878-1967). L’epistola getta precisi sospetti su un gruppo di fascisti dissidenti, recitandone precisamente i nomi, legati alla Massoneria, che si trova in contrasto con Mussolini, il quale aveva dichiarato fuori norma le Logge.

In un’altra lettera sono state trovate le affermazioni di un pentito che ha preso parte al complotto. Quest’ultimo confessa che «il giovanetto Zamboni non era altro che uno strumento». Perfino Carlo Alberto Pasolini (padre dello scrittore Pierpaolo, 1892-1958), all’epoca poliziotto a Bologna, nota che la pistola Beretta 765 di Zamboni è inceppata. Oltre a ciò, molti testimoni hanno affermato che il vero artefice del colpo sia stato un signore che si trovava proprio vicino al ragazzo e che, subito dopo lo sparo, si sia allontanato, con l’aiuto di alcuni complici.

Il 5 novembre del 1926 arriva alla redazione del Messaggero (Roma), firmato in maniera illeggibile, un’autodenuncia, una copia della quale viene inviata subito a Mussolini. Il mittente dice di “dovere eterna riconoscenza al povero Anteo che, aggiunge, lo ha salvato”.

Flavia De Michetti