di Antonio Calicchio
Il Sud e l’editoria italiana hanno perso, nei giorni scorsi, due figure letterarie popolari: Andrea Camilleri e Luciano De Crescenzo che hanno reso più attraente il Sud, il suo linguaggio, il suo modo di vivere e di pensare, la Sicilia di Camilleri e la Napoli di De Crescenzo. Il destino ha offerto, a Camilleri, il privilegio di vivere una lucida e riverita vecchiaia, quale Venerando Vegliardo ed Oracolo della Televisione e della Letteratura. Ed invece, a De Crescenzo, negli ultimi anni, il declino e il ritiro dalle scene pubbliche, per motivi legati alle sue precarie condizioni di salute.Entrambi sono stati scrittori – come detto – molto popolari: l’uno, deve tanto alla trasposizione televisiva dei suoi romanzi; l’altro, al cinema e alla partecipazione nella scuola meridionale di Renzo Arbore. De Crescenzo, si tenne lontano dalla politica e dalle ideologie, a differenza di Camilleri. Ma per esprimere un giudizio intorno ad un autore si deve avere l’onestà intellettuale e lo spirito critico di discernere le sue posizioni politico-ideologiche dalla sua prosa e dal segno che imprime in letteratura.
De Crescenzo, oltre che riabilitare sagacemente il Sud, aveva avuto il merito di aver reso divertente e popolare la filosofia, soprattutto quella antica; aveva reso familiare la figura di Socrate, i presocratici, lo Zarathustra nietzschiano, stabilendo un legame con la Magna Graecia, senza trascinare in basso la filosofia – come qualcuno degli intellettuali ha affermato – ma elevando il lettore comune, così da fargli scoprire ed apprezzare la saggezza dei filosofi: cioè, è stato un tenace campione di pop filosofia. Non ha mai smarrito le sue radici, anzi, ha fatto di Napoli, e dei napoletani, l’essenza del suo pensiero filosofico e letterario. Intriso, nel midollo, delle origini meridionali, ha rappresentato l’umorismo della gente del Sud. Con la letteratura, il cinema e la televisione ha portato il corpo di Napoli nella vita degli Italiani.
Dal canto suo, Camilleri è stato uno scrittore talentuoso, ha elaborato un proprio linguaggio gustoso e simil-siciliano, ha scalato le classifiche librarie, quanto e più di De Crescenzo, le sue opere sono state tradotte in tutto il mondo, sostenuto dal successo televisivo di Montalbano che è una delle fiction più vendute nel mondo. Intellettuale e pensatore libero ed autonomo, mai prono al potere. Anticonformista di indole e scelta, sempre avverso ad un potere conformista lontano dall’etica e dalla giustizia. Le sue radici sicule lo hanno imbevuto di una cultura mai elitaria, ma sempre prossima ai sentimenti popolari, con una sensibilità anche nelle analisi politiche, economiche e sociali.
Entrambi erano dotati di ironia. Ma mentre quella di Camilleri era una ironia caustica che voleva comunque “mandare un messaggio”, quella di De Crescenzo era ricca del senso di caducità della vita e, pertanto, demitizzante e anche autoriflessiva.
La simultanea perdita di queste due figure, sgomenta, perché esse lasciano un autentico vuoto. L’Italia deve ritrovare la volontà, il gusto e la gioia di unirsi sui valori e sui sentimenti che hanno reso grande il nostro Paese. Dobbiamo essere orgogliosi che questi uomini fossero italiani. L’Italia ha enormi risorse culturali e morali che devono essere continuamente valorizzate ed evidenziate.