Artista monologhista, attore e comico romano, Alessandro Serra è una delle figure più dinamiche nel paesaggio degli “Stand up Comedian” della nostra regione, intervistato da Fabio Picchioni al Manhattan di Ladispoli ci ha raccontato la genesi di un cabarettista dall’ironia semplice e fuori dagli schemi.
Tornando indietro nel tempo, come inizia a fare il comico?
Inizia 25 anni fa, quando ero “un pupo” ma forse dovrei tornare ancora più indietro nel tempo.Ho iniziato a scuola facendo l’imitazione dei professori, ero definito il “giullare della classe” poi alle medie ed alle superiori ho affinato quest’arte inconscia.
Quando hai capito che fare il comico poteva essere anche un lavoro?
Un lavoro non saprei, non l’ho mai vissuto diversamente da un gioco. Il Cabaret è stato il mio inizio, c’era un locale a Trastevere talmente piccolo e sovraffollato da non lasciare vie di fuga, lì le alternative erano poche: o facevi ridere oppure rischiavi più di un semplice fischio. É il bello della gavetta, ti forma e di lascia tanti spunti. Ho fatto anche serate in metropolitana, quando riesci a catturare l’attenzione in situazioni caotiche hai vinto. Fu la mia forza quando debuttai nel 2012 a Zelig in televisione. Prima di salire sul palco il comico Bertolino mi chiese il segreto della mia calma, risposi “Sai che c’è…io adesso esco ed ho davanti a me un palco libero, un pubblico attento, un microfono e le luci funzionanti…più che non far ridere che cosa mi può succedere? Io vengo da serate in posti dove ti prendono a calci, il pubblico sta dappertutto, camerieri che passano in mezzo ai tavoli, confusione, qui al massimo posso rimanerci male se non farò ridere. Quella serata andò benissimo, aprendomi le porte di Zelig, Colorado e Made in Sud dove mi chiamavano l’Ibrahimovic del Cabaret.
La fonte della tua comicità è la strada?
Esatto, basta scendere giù al bar sotto casa. Ogni persona contribuisce con la propria spontaneità.
Parlaci del “Coatto” e del fenomeno del pezzo “Selfie Coatto”
Precisiamo che il termine “Coatto” viene spesso frainteso con il termine romanesco per definire il cafone, il maleducato come si direbbe in altre regioni, ma il termine significa invero “Forzato”, era un periodo dove la gente si faceva i selfie per forza. Un testo che racconta di una persona ossessionata dai selfie. Fu un successo in tutta Roma, venne trasmessa da Radio Globo e Radio DeeJay, finendo sui social per tutta l’estate. Sarebbe bello esibirmi di nuovo a Ladispoli, ricordo la piazza affollata, in questo periodo di fermo e distanze, tornare sarebbe un toccasana!