“Finirò la mia vita terrena con il cinema, ma continuerò a vivere oltre la morte proprio per aver fatto il cinema“,
di Flavia De Michetti
La sera del 24 febbraio del 2003 Roma perde una delle sue icone più importanti, l’attore romano Alberto Sordi, si spegne nella sua amata casa. Il giorno dei funerali, che si sono tenuti il 27 febbraio, molte cariche dello Stato e personaggi del mondo dello spettacolo, insieme a oltre 250.000 persone, venute da tutta Italia, si sono radunati in piazza San Giovanni, davanti alla Basilica, per dare un ultimo saluto all’artista romano, che con la sua arte e il suo sorriso ha accompagnato moltissime generazioni. Per due giorni, oltre 500.000 persone hanno sfilato davanti alla camera ardente per rendergli omaggio, perfino durante la notte.
Nato il 15 giugno del 1920 nel cuore di Trastevere, in via San Cosimato, da papà Pietro, un orchestrale dell’Opera di Roma che suonava il trombone, e da mamma Maria, un’insegnante. Per l’attore e i suoi fratelli, Savina, Aurelia e Giuseppe (detto Pino), la famiglia ha sempre rappresentato un punto di riferimento. Già all’età di 10 anni, grazie alla sua particolare voce, canta da soprano nel coro della Cappella Sistina. Una grande passione che mette da parte per quella che sarà la sua vera strada, il mondo dello spettacolo, tra cui il doppiaggio (sarà la voce di Oliver Hardy, della mitica coppia Stanlio e Ollio) e il teatro di varietà, con un numero incredibile di film. Nel 1936 si iscrive all’Accademia dei Filodrammatici di Milano, da cui verrà espulso per la sua forte cadenza romanesca, un difetto che diventerà il suo tratto distintivo e il suo punto di forza per tutta la sua carriera. Dal 1947 ha un enorme successo con la radio, un campo in cui riceverà un’ottima accoglienza dal pubblico e riceverà numerosi premi per l’affermazione ottenuta.
Successivamente, nel 1950, fonda la P.F.C. (Produzione Film Comici) con Vittorio De Sica. Grazie alla sua grande capacità di adattarsi a qualunque cosa gli venga chiesta al momento, Sordi con la sua energia e un positivo cinismo riesce ad entrare nel cuore degli italiani. Celebre è il film I tre aquilotti, uno tra i suoi primi film, diretto da Mario Mattoli, nel 1942: ambientato nel periodo bellico, racconta la triste storia di tre ragazzi che vanno a combattere. Nonostante la sua impronta fortemente drammatica e commovente, ciò che tocca l’animo dello spettatore è la portata di una ventata di ironia e leggerezza in un contesto molto rigido.
Consapevole della sua grandezza e delle sue capacità, l’attore è stato sempre molto disponibile con tutti, come si vede in numerose interviste che lo riguardano, e ha un forte senso di autocritica. Con la sua irresistibile interpretazione nel film Un americano a Roma (1954) si vede chiaramente come i tempi siano cambiati con un Alberto più sciolto e meno impettito: in maniera divertente difende le tradizioni italiane, tanto amate dal pubblico, dalle novità e dai modelli americani.
E’ obbligatorio ricordare l’amicizia e la complicità che negli anni si è creata con la collega, anche lei romana, Monica Vitti. Entrambi spassosi, hanno interpretato molti ruoli insieme, portando sugli schermi storie d’amore tipiche degli italiani. Anche il grande Totò ne parla in termini affettuosi, ma sempre con una punta di gioco dice: “Sordi? Sì è capacino”.
La villa in cui ha vissuto per quasi tutta la vita, difendendo la sua riservatezza, in piazza Numa Pompilio, sovrastante le Terme di Caracalla, oggi è diventata una meta turistica, con una fama pari a quella del Colosseo. Ricca di storia e di meraviglie, tra cui l’antiquariato, una delle grandi passioni dell’Alberto Nazionale.
Un grande artista che con la sua grazia ha interpretato la gente comune, con la spontaneità e la romanità ha riempito gli occhi, le orecchie e gli animi di innumerevoli generazioni, difendendo la verità e la cultura del pubblico che ancora oggi tanto lo ama, sdrammatizzandone i lati peggiori. A 17 anni dalla sua morte Albertone viene festeggiato e non commemorato.