A CINECITTÀ APRE IL MUSEO DELL’AUDIOVISIVO

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Voluto e finanziato dai Beni culturali, propone un viaggio nella settima arte, lungo 120 anni, attraverso l’immaginario collettivo. Un patrimonio proposto per suoni e immagini, in relazione con la nostra vita sociale e culturale e con i mutamenti del linguaggio visivo del XXI secolo. 

di Barbara Civinini

Chi non ricorda l’Albertone nazionale nella celebre scena della cofana di spaghetti di Un americano a Roma? Era il 1954 e il Paese era uscito da poco dalla guerra. Oppure un superbo Volontè in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto che biascia contrito una manciata di sale davanti ai suoi superiori? Era il 1970, l’anno del golpe Borghese. Ora tutti questi ricordi si potranno rivivere visitando il primo Museo dell’Audiovisivo e del Cinema (MIAC) della Capitale, che ha aperto i battenti proprio in questi giorni di festa, dopo essere stato presentato ufficialmente dal ministro Dario Francescini lo scorso ottobre.

L’obiettivo è quello di raccontare, in una dimensione immersiva, la storia e l’evoluzione della settima arte. Il percorso si snoda lungo gli ultimi 120 anni di cinema e televisione. Un Museo per ritrovare il nostro immaginario collettivo, dove i visitatori italiani e non, possono conoscere e vivere la storia e l’evoluzione dell’arte più potente, nata oltre un secolo fa: l’arte delle immagini in movimento, l’audiovisivo. Il medium che ha determinato il nostro modo di vedere, conoscere e immaginare il mondo, attraverso le lenti del cinema, della televisione, fino alla tecnologia digitale della realtà virtuale e aumentata, e del videogioco. E’ stato allestito nel vecchio Laboratorio di Sviluppo e Stampa degli Studios di Cinecittà -1650 metri quadri di superficie, un luogo dove per decenni è passata buona parte della storia del cinema italiano- ristrutturato dall’architetto Francesco Karrer per ospitare nelle 12 sale del MIAC un patrimonio materiale e immateriale di civiltà visiva immenso.

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Il percorso è stato affidato al regista Roland Sejko insieme a tre docenti universitari, Gianni Canova, Gabriele D’Autilia, ed Enrico Menduni, mentre l’allestimento è stato ideato da NONE collective. Il criterio di selezione dei contenuti non punta alla completezza della storia dei media ma piuttosto a creare connessioni, metafore, provocazioni e allusioni, pur nel rispetto documentale. Intende cioè a restituire la ricchezza di un patrimonio che ha posto l’Italia ai vertici della produzione audio visuale, attraverso il coinvolgimento emotivo del visitatore. Ogni sala, da quella del Potere a quella dell’Eros e del Cibo, rievoca per immagini, con apparati sonori e immersivi, tutta un’epoca attraverso gli occhi del visitatore.

E sul mitico nastro, che per decenni ha trasportato le pellicole in lavorazione, oggi viaggiano i pensieri scritti dai visitatori su schermi luminosi, per essere poi trasformati in piccoli biglietti stampati. Insomma, nelle sale di questo museo, dove possiamo osservarci come in uno specchio, sono custoditi sogni, fantasie, speranze e opinioni di ognuno di noi. Voluto e finanziato dai Beni culturali è stato realizzato da Istituto Luce-Cinecittà, in partnership con Rai Teche e il Centro Sperimentale di Cinematografia, in collaborazione con la Cineteca di Bologna, il Museo del Cinema di Torino e Mediseat, e il Patrocinio di SIAE.