Lo racconta Andrea Di Stefano con “L’ultima notte di Amore”. Il film presentato fuori concorso alla Berlinale, nella sezione Special Gala, è appena arrivato in sala. In bilico tra poliziesco anni settanta, noir e narrazione contemporanea, è interpretato da un magistrale Pierfrancesco Favino.
di Barbara Civinini
Al suo terzo lungometraggio, dopo “Escobar” e “The Informer”, Andrea Di Stefano – alla boa dei 50 – gioca in casa e lo gira alla vecchia maniera, in 35 millimetri, riscoprendo il poliziesco all’italiana anni ’70.
Per quello che mi riguarda – afferma il regista – dopo due film diretti all’estero, m’interessava tornare in Italia per raccontare qualcosa ben “a fuoco”. E poi si spiega citando Brecht: “Racconta il tuo giardino di casa e avrai scritto una storia universale”, ed io volevo dare la giusta importanza ai dialoghi e all’azione e fare un film che non sembrasse recitato ma improvvisato. Avevo voglia di portare in scena una storia di persone che conoscevo, un po’ per origine, un po’ per certe dinamiche che ammiro profondamente, attraverso un tipo di cinema amato fin da quando ero ragazzo.
La storia scritta e diretta dal regista, che ha curato anche la sceneggiatura, ambientata nella Milano di oggi, sembra uscita dalle pagine di cronaca. Il tenente della polizia, Franco Amore – interpretato da uno straordinario Pierfrancesco Favino – la sera prima del suo pensionamento si ritrova a indagare su un omicidio. La vittima è l’amico Dino (Francesco Di Leva), suo partner da anni, rimasto ucciso in una rapina di diamanti. È così che l’ultima notte di Amore si rivelerà la più lunga di tutti i suoi anni di servizio. Nel discorso che ha preparato da leggere l’indomani ai colleghi, si racconta come un uomo che ha sempre cercato di essere una persona onesta, un poliziotto che in 35 anni di onorata carriera non ha mai sparato a nessuno. Ma quella notte sarà più lunga e difficile di quanto avrebbe mai potuto immaginare e metterà in pericolo tutto ciò che conta per lui: il lavoro da servitore dello Stato, il grande amore per la moglie Viviana (Linda Caridi), la sua stessa vita. Insomma, quasi una discesa agli inferi di un uomo semplice e onesto, che coinvolgerà anche sua moglie.
La vicenda non racconta fatti veri ma è nata in modo molto semplice, come dichiara lo stesso Di Stefano, frequentando le famiglie di poliziotti e carabinieri per altri suoi progetti. Gli agenti di polizia tendono ad andare in pensione molto presto e a ritrovarsi spesso a fine carriera con l’amaro in bocca, sentono di aver fatto sacrifici per lo Stato senza essere stati ripagati pienamente e questa cosa mi commuove profondamente, dichiara il regista. In Italia, troppo spesso, nel cinema e nelle fiction, carabinieri e poliziotti sono descritti come dei sempliciotti di paese, prosegue, ma ci vuole una certa dose di coraggio e sangue freddo per mettere la pistola nella fondina e cominciare il turno. Questo film è stato scritto con l’aiuto di persone che hanno fatto quella vita e vuole raccontare, con il massimo rispetto, le loro debolezze, traumi, sogni e storie d’amore, rimarca il regista.
Il film prodotto da Indiana Productions, Memo Film, Adler e Vision Distribution, in collaborazione con Sky, è stato presentato con successo alla 73ma edizione del Festival di Berlino, fuori concorso.