LA NOTTE DELLE STELLE CADENTI.
Da “Il Santo dalla ali bianche” di Dario Rossi.
Montava la guardia, il Siciliano, seduto sopra il liscio quadrone di tufo alto sulla bruna
trincea di terra a circondare la buca – non molta profonda – dentro la quale, le due pareti
laterali e la frontale erano palese testimonianza della presenza della tomba. Nell’ipogeo, al
flebile lume di due mozziconi di candela, Pietrone e Bobo erano al setaccio della terra
che stazionava all’interno. Sull’estesa Necropoli della Banditaccia, nel versante in leggero
pendìo che volge verso la Cornacchiola, sotto un intrico di alti fusti di felce avevano individuato la tomba; e come la maggior parte delle tombe del V sec. A.C. era stata precedentemente violata. C’era soltanto da effettuare la trapalatura della terra alla ricerca di oggetti snobbati dai primi ricercatori. Si era a pochi giorni dall’evento del santo Natale.
Da sopra la collinetta, seduto sul liscio quadrone di tufo a guardia dei compagni al lavoro nell’ipogeo, il Siciliano donava lo sguardo all’oscuro dorsale dei monti Ceriti fuso con le ombre nere della notte. Soltanto lumi di radi casali a buluginare come respiri di lucciole. E un falcetto di luna. Ma dentro un cielo invisibile, lisciato da un vento – cacciatore – di nuvole dell’autunno appena finito, un tappeto impazzito di stelle gravava sul vasto sepolcreto. Non era molto attento, il Siciliano, al delicato compito assegnatogli.
Il mento incassato tra le fredde palme delle mani, pensava alla sua Sciacca dormiente sul canale di Sicilia che aveva lasciato, bambino, insieme con i propri genitori alla ricerca di maggior fortuna verso le vulcaniche terre di Maremma. Pensava la suo mare: a quel Mediterraneo denso di storia e di vita, dove tante volte si era bagnato assaporandone le voglie e i palpiti; a quei gironi carichi di sole che appesantiva le membra, scuoteva i respiri immobilizzando cose, animali, uomini, ai giorni sublimi della primavera dove i vicoli profumavano di miele e salsedine e sbocciavano i mandorli dentro poderi sassosi.
Si, pensava alla sua Sciacca il Siciliano, dormiente sul canale di Sicilia, alle sue ombre, ai suoi chiarori, al suo richiamo dolce come un canto di sirena, o il suono della chiglia delle barche dei pescatori a fondere l’immenso spazio del mare…Forse perché si era vicini al santo Natale e l’animo umano, in quei gironi particolari è propenso alle gioie e alle malinconie, forse perché il silenzio, il falcetto della luna, i lumi dei rari casali, quel vento, fatto sta che egli – sopraffatto da tante e tali emozioni, stava lì li per piangere. Allora volse gli occhi alle stelle per far sì che ciò non accadesse. E vide i bolidi luminosi, simili a dàrdi infuocati, tracciare il buio della notte, rompere la nera barriera a dividere il cielo e la terra. Uno a distanza di pochi secondi da un altro: gialli, arancioni, rossi, luci di bellezza, comete illusorie, brani di vita da mondi lontani…Le stelle cadenti! La notte delle stelle cadenti. Rimase così, il Siciliano, gli occhi smarriti dietro gli effimeri bolidi d’oro. Non aveva mai visto niente di simile in tutta la sua vita trascorsa. Forse perché non aveva mai guardato il cielo di notte, se non in quella notte particolare! Incantato, diede voce ai compagni. Petrone e Bobo uscirono dalla buca, evidentemente impauriti.