Perché allora l’Italia si è trovata improvvisamente minacciata da una nuova “emergenza sommersa” portata da un qualcosa che era già noto?
di Andrea Macciò
Era il Gennaio 2022 quando un’Italia ancora prigioniera delle “misure di contenimento” del Covid, dal green pass all’obbligo di mascherina all’aperto al “distanziamento sociale” i ministri Speranza (Salute) e Patuanelli (Agricoltura) emanarono un DL, poi convertito in legge a Marzo, per disciplinare nuove “misure” di contenimento e eradicazione della “peste suina” dopo il ritrovamento di alcune carcasse di cinghiali affette da questa malattia nelle aree montane al confine tra Piemonte e Liguria.
Una sindrome nota da tempo che non si trasmette né all’uomo né ad altri animali di allevamento. Se andiamo a guardare i siti istituzionali, scopriamo che esistevano piani di contrasto alla peste suina già dal 2020 come si evince ad esempio dal sito della regione Umbria.
Perché allora l’Italia si è trovata improvvisamente minacciata da una nuova “emergenza sommersa” portata da un qualcosa che era già noto?
A parere dei ministri del governo Draghi, la presenza di cinghiali affetti da peste suina nell’appennino ligure-piemontese avrebbe minacciato gli allevamenti intensivi della pianura emiliana. Il Decreto-legge prevedeva l’istituzione di “zone rosse” e “zone arancioni” secondo il modello già ampiamente rodato nei due anni di lockdown.
Tra il gennaio e l’aprile del 2022 in numerosi comuni delle provincie di Alessandria e Genova le due regioni, interpretando in maniera restrittiva l’ordinanza ministeriale, disposero il divieto assoluto per i cittadini di percorrere strade sterrate e sentieri, oltre a vietare la caccia e ogni attività ludica e sportiva outdoor e limitare fortemente numerose attività lavorative che si svolgevano nei boschi e nelle aree verdi. Una misura pesantissima, considerato che soprattutto in Piemonte molte sterrate conducono ad abitazioni private. Per i non residenti dirette alle stesse sembrava potesse rispuntare il fantasma dell’autocertificazione.
Nella zona rossa anche l’intera area urbana di Genova.
E proprio in Liguria, a Genova e Arenzano, si rividero scene da lockdown 2020 con le forze dell’ordine a presidiare i sentieri per impedirne la fruizione ai cittadini.
Un colpo durissimo per la libertà personale e l’economia delle valli appenniniche coinvolte.
Il rischio era che questa emergenza sommersa si estendesse a tutta Italia, portando il paese in un nuovo lockdown di fatto con una motivazione se possibile ancora più insostenibile di quella che giustificò quello per il Covid-19: la salvaguardia degli interessi economici di un settore privato, quello dell’allevamento industriale, basata su un’ipotesi molto forzata, ovvero che le persone che camminavano nei sentieri potessero attraverso le scarpe portare il virus negli allevamenti della pianura padana.
È stato disposto l’abbattimento dei suini sani negli allevamenti delle valli alessandrine e genovesi, un colpo durissimo alle piccole attività già provate dai due anni precedenti.
La reazione dei cittadini e dei settori economici coinvolti ha portato a strappare un compromesso secondo il quale è stato possibile riaprire i sentieri solamente con l’istituzione di un complesso “protocollo sanitario” che prevedeva per i turisti e gli altri fruitori delle aree verdi una serie di obblighi e prescrizioni relative alla disinfezione di attrezzature e scarpe, oltre alla persistenza di alcuni divieti come quelli di pesca e balneazione nelle aree fluviali.
Un protocollo formalmente ancora in vigore (al solito, ci si muove in un territorio ibrido tra l’obbligo e la “forte raccomandazione” che rischia di esporre il cittadino all’arbitrio degli addetti a eventuali controlli) assieme all’emergenza sommersa, e che un’ordinanza del Commissario Straordinario Ferrari, con il beneplacito del governo attuale, ha prorogato di ulteriori tre mesi il 27 dicembre 2022, in un paese distratto dalle vacanze di Natale da un lato e dall’ordinanza del ministro Schillaci relativa all’obbligo di tampone per i voli provenienti dalla Cina dall’altro.
L’accordo prevedeva anche la costruzione di una recinzione in Piemonte che avrebbe dovuto “contenere” i cinghiali “infetti” nella zona rossa salvaguardando gli allevamenti padani.
Un’opera molto costosa e giudicata da tutti di scarsa efficacia, che ha deturpato il paesaggio della collina e della montagna piemontese senza riuscire minimante a limitare i movimenti dei cinghiali.
Nel frattempo si è messa in moto una macchina politico-mediatica sul tema degli animali selvatici che ha portato a estendere le “zone rosse” nell’Italia Centrale, spesso su espressa richiesta dei politici locali come il consigliere regionale umbro di centrosinistra Vincenzo Bianconi, che a gennaio 2022 chiedeva “misure preventive per salvare l’estate” secondo una formula tristemente nota agli italiani: chiudiamo oggi, per aprire domani.
E così, nella primavera 2022 numerosi comuni dell’Umbria e del Lazio entrano “in zona rossa”: Narni, Castiglione del Lago, Gubbio, Cittaducale, Antrodoco, Borgo Velino, Castel Sant’Angelo, Micigliano, e numerosi quartieri di Roma Nord. Per decretare la “zona rossa” è sufficiente il ritrovamento di una carcassa di cinghiale “positiva” al test per la peste suina.
Le aree attorno, compresa la città di Rieti, sono invece “zona arancione” ovvero di controllo speciale.
Le “misure” adottate da Umbria e Lazio non sono state gravi come quelle adottate da Liguria e Piemonte: la reazione dei cittadini e dei settori economici coinvolti in quelle aree probabilmente ha scoraggiato l’adozione di restrizioni fortemente impattanti sulla libertà personale.
Si tratta peraltro delle aree dei “cammini”: il Cammino di San Francesco, il Cammino dei Protomartiri francescani, le Gole del Nera, la Via Francigena, e l’impatto sul turismo sarebbe stato pesantissimo.
Ma l’emergenza sommersa resta sospesa su queste aree come una spada di Damocle. Nel frattempo, mentre la caccia in Piemonte e Liguria restava vietata, con una possibile apertura oggi, il governo Meloni autorizzava gli abbattimenti dei cinghiali in aree urbane, in maniera regolamentata, ma non abbastanza da scoraggiare un cacciatore a sparare a un’auto in corsa per colpire un cinghiale a Fonte Nova, alle porte di Roma.
Sulla “peste suina” è stata fatta molta confusione e restano numerose questioni aperte.
L’emergenza, come costume italiano, è diventata normalità, e la questione della “peste suina” è stata confusa con altri problemi certamente reali ma che non avevano nessuna correlazione specifica con questo virus: la sovrappopolazione dei cinghiali dannosa per le attività agricole e la proliferazione dei cinghiali in alcune città, in particolare Roma e Genova, potenzialmente pericolosa soprattutto per il traffico, vista la scarsa aggressività degli ungulati.
E così, a fare da sponda all’emergenza “peste suina” si sono affiancate al governo le associazioni di categorie degli agricoltori, come la Cia e la Coldiretti, sperando che attraverso i finanziamenti europei per “l’eradicazione” della peste suina fosse finalmente risolto il problema della sovrappopolazione dei cinghiali e dei danni all’agricoltura. Si sono mobilitate anche le associazioni animaliste, opponendosi agli abbattimenti degli ungulati e sostenendo che questa politica portava gli stessi a riprodursi in maniera più celere.
Nel frattempo, l’emergenza cinghiali ha portato recentemente alla chiusura del Parco di Villa Pamphilj a Roma e all’evacuazione dei presenti, secondo il ben noto “principio di massima precauzione” che abbiamo imparato a conoscere prima con le chiusure relative alle allerte meteo e poi con le misure restrittive legate al Covid.
Su questa situazione è stata fatta troppa troppa confusione tra temi e problemi diversi.
Se la “pandemia” di peste suina è caratterizzata dalla gravità con la quale è stata presentata nel 2022, se davvero minaccia come qualcuno dice l’intera economia italiana (come se il Pil di questo paese fosse tenuto in piedi esclusivamente dalla produzione di insaccati) perché i cinghiali a un anno di distanza invece che diminuire drasticamente di numero sono a quanto pare proliferati, invadendo le strade di Genova e Roma, dove ingaggiano persino, secondo alcuni media locali, epici scontri con le nutrie delle quali invadono il territorio?
Se si tratta di un problema che rappresenta una minaccia esclusivamente per un settore economico come quello degli allevamenti di suini, le “misure” che hanno limitato gravemente la libertà personale dei cittadini e messo a rischio interi settori economici e aree come appunto la Val Borbera, la Valle Stura, le valli del Reatino che erano diventate meta di un turismo “slow” e attento all’ambiente proprio nel periodo dello stato di emergenza per il Covid non sono state evidentemente sproporzionate?
Non sarebbe stato più sensato limitarsi a mettere in sicurezza gli allevamenti di maiali delle zone interessate?
Quanto sta costando realmente all’Italia la politica emergenziale sulla peste suina, tra la recinzione e le “task force” addette al “contenimento” della stessa?
Il problema dei cinghiali che “invadono” le aree urbane residenziali di Genova e soprattutto di Roma è annoso, ed è noto che sono richiamati, soprattutto nella Capitale, dalla presenza di possibile cibo nascosto tra i rifiuti. Pensare di risolvere questo problema attraverso qualcosa che non c’entra nulla come la peste suina appare come un escamotage per non affrontare l’annoso problema della raccolta e smaltimento dei rifiuti nella Capitale.
Intanto, sono ripartiti da alcune settimane gli aggiornamenti quotidiani dei media locali sui cinghiali contagiati in Piemonte e Liguria e sugli avvistamenti urbani degli stessi a Roma.
Il ritrovamento di un cinghiale “infetto” a Carrega Ligure (Al) paese dell’Alta Val Borbera isolato dal versante alessandrino da mesi e dimenticato dallo stato e dalla regione, sta facendo ripartire la narrazione emergenziale vista la prossimità del comune borberino con la provincia di Piacenza.
La recinzione anti-cinghiale, che oltre a condizionare pesantemente il paesaggio di alcune zone del Piemonte di interesse turistico (per esempio l’area di Lussito, frazione sui colli di Acqui Terme, e Sardigliano, sui colli tortonesi) è stata riconosciuta da tutti come inutile per lo scopo per la quale è stata creata. E secondo una logica che abbiamo imparato a conoscere durante i lunghi anni delle restrizioni legate al Covid, quando un provvedimento non funziona questa classe dirigente invece che tornare sui suoi passi lo conferma e anzi lo estende. E così, si parla già di estendere la recinzione verso le provincie di Asti e Cuneo.
Non ci sorprenderemmo se provvedimenti analoghi fossero presi anche nelle aree coinvolte dell’Umbria e del Lazio.
La “peste suina” resta a gravare sull’Italia come una spada di Damocle. Un’emergenza sommersa, attualmente non gravida di particolari restrizioni per i cittadini, ma che, di proroga in proroga, si appresta a diventare l’ennesima emergenza permanente italiana, foriera di spesa pubblica fuori controllo senza che nessuno renda conto dell’efficacia di quanto disposto e potenzialmente anche di nuove possibili restrizioni delle libertà personali.
Riferimenti e fonti
Peste suina, per Bianconi non può essere un nuovo terremoto per l’Umbria (valnerinaoggi.it)
Peste Suina – Peste Suina Africana – Regione Umbria
Contenimento della Peste Suina Africana | Regione Piemonte
Emergenza Peste Suina Africana (PSA) – geoportal Regione Liguria
Regione Lazio | Sanità: ordinanza del presidente della Regione Lazio su peste suina
Peste suina, ecco la “zona rossa” in cinque comuni del Reatino (ilmessaggero.it)
Peste suina: bene la proroga per l’emergenza, ma si proceda con le reti – Quotidiano Piemontese
La Peste suina africana si avvicina all’Emilia Romagna: un caso a Carrega Ligure (giornale7.it)