I reperti, esposti nel nuovo Museo dell’Arte Salvata, torneranno quasi tutti a casa, nel parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia. Il progetto finale, però, prevede la nascita di un’isola della cultura nel centro di Roma.
di Barbara Civinini
Il famoso Planetario, e cioè la sala Ottagona delle Terme di Diocleziano, a Roma, è divenuto un luogo dove raccontare la storia dei reperti salvati. Si tratta della nuova sezione del Museo Nazionale Romano, allestita con le opere recuperate dai Carabinieri della Cultura. Dopo l’esposizione, ogni pezzo tornerà al suo territorio di appartenenza.
Tutelare e valorizzare queste ricchezze – ha affermato il ministro Dario Franceschini all’inaugurazione – è un dovere istituzionale, ma anche un impegno morale. Si tratta di testimonianze dal forte valore identitario che permettono di riconoscersi in una storia culturale comune. Insomma, il nuovo Museo dell’Arte Salvata – come ha detto Stéphane Verger, direttore del Museo Nazionale Romano – sarà un “porto sicuro” per quelle opere che da qui ripartiranno per una collocazione definitiva. I beni riguadagnati ammontano a più di tre milioni – ha spiegato il generale Roberto Riccardi, responsabile dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC) – e quello che appare in questa esposizione è solo una parte del “bottino” rientrato con uno degli ultimi recuperi.
L’esposizione del nuovo museo è stata allestita interamente con gli oggetti che il Nucleo operativo TPC ha fatto rientrare dagli Stati Uniti a partire dallo scorso dicembre, frutto di scavi clandestini, ricettazione ed esportazione illecita. La restituzione all’Italia è avvenuta presso il Consolato generale di New York, dove alcuni pezzi sono rimasti in mostra per qualche mese. Le opere, al termine dell’esposizione temporanea nella Capitale, grazie al coordinamento con la DG Archeologia e al direttore generale dei Musei dello Stato, Massimo Osanna, torneranno al Museo Nazionale Archeologico Cerite all’interno del Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia, in parte al Museo Nazionale Romano e a quello di Taranto. Fra i reperti più antichi spiccano quelli dell’epoca orientalizzante (VII sec. a.C.), provenienti dall’Etruria meridionale ma anche dal Lazio, come il pithos (giara) in ceramica d’impasto rosso sovradipinto in bianco di produzione etrusca con la scena mitologica dell’accecamento di Polifemo. Le necropoli etrusche hanno restituito un’enorme quantità di ceramiche del VI e del V sec. a.C. Forse proviene dall’Etruria anche la kylix (coppa) attica a figure rosse che raffigurano Dioniso all’interno e satiri con menadi all’esterno (inizio V sec. a.C.). C’è anche una misteriosa testa votiva in terracotta di produzione etrusco-laziale del IV sec. a.C. proveniente da un santuario non identificato dell’Etruria meridionale, con alcune tracce policrome che fanno rivivere i volti antichi.
L’apertura nel nuovo museo, però, è solo il primo passo per la realizzazione di un progetto più ampio che prevede l’attuazione del disegno di Giovanni Bulian – l’architetto che negli anni ottanta ha ristrutturato l’intero plesso, compresa l’Aula Ottagona, probabilmente un frigidarium minore – che ha come progetto finale la nascita di un’isola della cultura nel centro di Roma.