La “festa di compleanno” ha origini pagane, quando in questo giorno si usavano fare gli auguri al festeggiato nell’intento di “proteggerlo” dalle forze del male e per augurargli salute e sicurezza per il nuovo anno che stava per iniziare.
Hanno iniziato gli antichi egizi, con il compleanno del faraone, poi i persiani hanno aggiunto le torte, i greci hanno fuso le due tradizioni per poi arrivare alle torte con le candeline in Germania. Ci sono delle persone che non hanno mai festeggiato il loro compleanno. Strano ma vero! E lo raccontano non solo persone che hanno una certa età ma anche giovani, ragazzi e/o ragazze sotto i 30 anni. In molte regioni d’Italia capita che sia molto importante l’onomastico, importante come quasi il compleanno. Questo perché, tempo fa, era facile dimenticare la data della nascita ma non il santo con cui si chiamava il neonato. Quando le persone raccontano che non sono mai stati festeggiati, aggiungono anche che i genitori non andavano mai a vederli alle partite o alle recite scolastiche. Queste persone comunicano una grande tristezza di cui, però, non ne sono consapevoli. Spesso, poi, aggiungono che non sopportano le sorprese, cioè spiegano che alle volte hanno reagito male ad una sorpresa (qualsiasi) o ad una festa di compleanno a sorpresa. Spiegano che per loro le sorprese hanno sempre avuto un significato negativo e che non amano le feste a sorpresa o essere festeggiati ad un compleanno perché non amano essere al centro dell’attenzione. Adesso facciamo un passo ulteriore.
Proviamo, ora, a metterci nei panni di un bambino che cresce in una famiglia in cui ci sono queste abitudini. Il bambino, anche se non dice nulla, riflette su certe cose: osserva che gli altri bambini festeggiano il loro compleanno perché viene invitato alle loro feste, vede il comportamento dei genitori nei confronti degli altri bambini e lo confronta con il comportamento dei suoi genitori verso di lui. Vede e nota delle differenze. Il bambino ha una modalità cognitiva concreta, cioè fa delle considerazioni molto legate alla sua realtà e non fa altre ipotesi. Sulla base delle differenze percepite, potrebbe iniziare a pensare che lui non è una persona importante per i suoi genitori.
Quali emozioni può provare un bambino relativamente a queste osservazioni? Potrebbe provare rabbia o tristezza. Magari cercherà di provare a fare qualcosa per attirare l’attenzione e l’approvazione dei genitori, probabilmente senza risultato. In questo caso potrebbe succedere che le emozioni del bambino siano talmente forti che “decida” di non provarle (ricordo che il bambino dipende dai genitori per la sua sopravvivenza per cui ad un certo punto la mente interviene affinché questa sopravvivenza, fisica e mentale, venga mantenuta). “L’incapsulamento” delle emozioni porta a non sentire gli effetti delle emozioni ma non vuol dire che non esistano. Ci si abitua a certe situazione, non ci si fa più caso, diventano la normalità. Ma la sofferenza rimane. E anche le emozioni incapsulate continuano a vivere.
Potrebbero succedere molti scenari, nel bambino che diventa adolescente e adulto. Potrebbe permanere la necessità di essere riconosciuto a tutti i costi, magari attuando comportamenti al limite della legalità, potrebbe portare a disturbi dell’umore o a bassa autostima e, magari, problemi nel relazionarsi con gli altri, con l’altro sesso. L’essere festeggiati sembra un concetto banale e superficiale ma, se guardiamo un po’ più in profondità, porta con sé molti significati, in primis l’essere pensato.
Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta Psicologa Giuridico-Forense
Cell. 338/3440405