Fabio Armiliato, lei interverrà il 30 aprile ad Anguillara all’evento “La Musica è Favola” durante il quale verrà “evocata” Medea Mei Figner, musa di Tchaikovsky. E’ stata una grande interprete. Cosa significa per un tenore interagire sulla scena con un soprano? Qual è la sua esperienza?
È una domanda che per me è molto facile da rispondere in quanto ho vissuto molta parte della mia vita artistica e privata proprio con un grande soprano: Daniela Dessì. Per un tenore interagire con il soprano sulla scena nell’opera italiana e in generale nell’opera lirica, è una cosa naturale perché il tenore solitamente incarna l’innamorato, l’amante, l’eroe romantico e il soprano la donna innamorata, da sedurre, da conquistare o da difendere dagli attacchi di altri pretendenti. Tutto si svolge in questa tematica e in una scrittura vocale eseguita dei registri vocali più acuti e quindi più esaltanti per il pubblico: i duetti tre il soprano e il tenore sono uno dei punti di maggior interesse di tutto il melodramma e le pagine più straordinarie scritte dai suoi compositori .
Il dilemma classico. Verdi o Puccini? Maestro Armiliato cosa preferisce?
All’inizio della mia carriera ho cantato quasi esclusivamente Verdi per quasi 10 anni e la scrittura Verdiana devo dire che mi ha disciplinato molto e mi hai insegnato tutte quelle risorse espressive e di tecnica vocale, soprattutto nell’interpretare i grandi recitativi verdiani e il legato delle arie di tutte le sue opere, che mi sono serviti moltissimo nell’affrontare successivamente prima il repertorio pucciniano che poi quello del verismo italiano. A Puccini sono particolarmente legato perché posso dire di aver cantato veramente tutte le sue opere principali (mi mancano solo le opere giovanili e il Gianni Schicchi): alcune opere sono rimaste nel mio cuore con esperienze indimenticabili, com’è la Manon Lescaut, la Fanciulla del West e soprattutto Tosca che è l’opera che ho cantato di più in assoluto. Non c’è quindi una vera preferenza tra i due compositori, ma c’è stato un grande percorso che mi ha consentito di poter cantare tantissimo della produzione di tutti e due i più grandi rappresentanti del nostro melodramma nel mondo.
Tra i tanti teatri che lei ha frequentato quale le ha dato maggiori emozioni?
Faccio sempre fatica a dire qual è il teatro che mi ha regalato maggiori emozioni: istintivamente dico sempre il Teatro Colón di Buenos Aires perché è il teatro più grande del mondo costruito in maniera tradizionale e negli anni che io ho frequentato Buenos Aires il pubblico era veramente straordinario e con un amore per l’opera, per i cantanti e per la nostra musica italiana davvero unici. Non posso poi non citare il Metropolitan di New York dove ho debuttato con il Trovatore di Giuseppe Verdi e dove ho raccolto grandissime soddisfazioni e poi la Staatsoper di Vienna, il Liceu di Barcelona e per quanto riguarda i teatri italiani l’Arena di Verona , il teatro alla Scala di Milano e il teatro Carlo Felice di Genova, che è la mia città. Ogni teatro però lo porto nel cuore e sono felice di aver potuto portare la mia voce e la cultura italiana veramente in tutti i Teatri del Mondo. Una cosa che mi riempie davvero di grande orgoglio.
Il melodramma italiano è candidato a patrimonio immateriale dell’Unesco, cosa ne pensa?
Sono molti anni che stiamo cercando di ottenere questo riconoscimento dall’Unesco: io mi sono interessato e battuto per questo in alcuni momenti della mia vita e della mia carriera, quando sembrava però che non ci fosse spazio per questo riconoscimento, che davvero mi pareva inspiegabilmente che non venisse preso in considerazione. Forse questa stavolta si è trovata la formula giusta e spero vivamente che il progetto possa andare finalmente in porto, considerando che la lingua italiana è conosciuta e si parla nel mondo ancora oggi soprattutto nella maggiore percentuale, grazie ancora proprio all’opera lirica, che è un grande legame che unisce tutti i popoli del pianeta. Questo ci dovrebbe portare a fare alcune importanti considerazioni su quanto materiale e su quanta ricchezza siamo in possesso noi italiani: solo una miopia progressiva di chi ha governato il nostro Paese ci ha portato a non valorizzare con continuità questo enorme patrimonio che ci appartiene e che tutto il mondo ci invidia. Per poter valorizzare tutto questo però occorre far nuovamente maturare in tutti noi un forte senso di appartenenza e soprattutto una capacità di saper educare fin dalla giovane età i nostri figli, come facevano le famiglie ancora durante la mia infanzia e adolescenza: ci facevano ascoltare tutto, ma ci facevano capire che cos’era bello e soprattutto che cos’era giusto… devo a questa educazione la mia carriera e ringrazio sempre la mia famiglia per questo ed esorto sempre tutti i genitori a far ascoltare tutta la musica ai loro figli, perché possano poi un giorno essere in grado decidere quale sarà la loro strada in funzione del loro talento e della loro passione.
Il direttore artistico Amarilli Nizza tiene molto alla sua partecipazione. Cosa vi lega in particolare?
A Amarilli mi lega una grande stima per il suo percorso artistico, un affetto nato e cresciuta da tanti anni di carriera e da molte cose realizzate insieme. Ammiro molto Amarilli anche per la sua coerenza di artista e di donna e per la sua grande capacità di aver saputo coniugare una grandissima carriera con una vita privata ricchissima. Sono cose importantissime che oggi vale la pena di sottolineare, perché i valori veri sono quelli che danno continuità e soprattutto che servono di esempio per le nuove generazioni: e di questo ce n’è un grandissimo bisogno.
Insegnare canto. Dovere, vocazione, passione? Come si diventa Maestro di canto?
Insegnare canto è un po’ tutto quello che viene espresso nella domanda: è un Dovere perché si ha l’impegno di continuare questa bellissima tradizione italiana di cui siamo portatori e che ci dà una grande responsabilità rispetto al futuro. È una Passione perché senza la passione non si fa nulla e bisogna innamorarsi dell’insegnamento come ci siamo innamorati dell’essere protagonisti sulla scena e questo dobbiamo essere in grado di saperlo passare col nostro entusiasmo ai nostri allievi. Lascio per l’ultimo la Vocazione perché in effetti per insegnare bisogna essere portati: ci vuole pazienza, ci vuole capacità di lettura e ci vuole quell’onestà intellettuale che possa mettere in grado l’insegnante di fare sgorgare negli allievi quella curiosità di “cercarsi e conoscere dentro”, che fa parte della ricerca del canto; il canto non è soltanto voce ma è collegamento con l’anima e con la spiritualità. Senza questo collegamento non c’è interpretazione e non c’è emozione che passa al pubblico.
Ha già frequentato il lago di Bracciano? Come si trova in questi luoghi?
Sono solo passato durante qualche viaggio dal lago di Bracciano e non conosco questi luoghi sono molto felice di poterli visitare e ringrazio Amarilli per questa opportunità. Sono certo che tornerò molte altre volte.