“NON SI RICORDA A MEMORIA D’UOMO, NELLA REPUBBLICA ITALIANA, UNA SIMILE VIOLENZA DELLO STATO CONTRO I PROPRI CITTADINI”. LA PROTESTA PACIFICA E RADICALE DI TRE INTELLETTUALI.
L’intellighenzia italiana di fronte all’escalation di misure vessatorie e repressive messe in atto dal governo Draghi contro i cittadini, per lo più si è comportata come da copione: un misto fra indifferenza, cecità e opportunismo. Ma, come in in ogni era di tenebra, esistono le eccezioni. Domenica 13 febbraio tre intellettuali hanno iniziato lo sciopero della fame come forma di protesta pacifica e al contempo “radicale”, radicata nel corpo e non solo nella mente, per dire NO alla gestione pandemica ferocemente discriminatoria e per solidarietà verso i discriminati.
Qui di seguito il comunicato sottoscritto da Carlo Cuppini, scrittore fiorentino che i lettori de L’Ortica conoscono soprattutto per le sue battaglie a favore dei diritti dei minori, Sergio Porta, professore ordinario all’Università di Glasgow (Professor of Urban Design Dept. of Architecture), e Paola Olivieri che si unirà allo sciopero il 21 febbraio.
“Questo atto vuole esprimere un NO assoluto a politiche che – a copertura di gravi omissioni, ritardi, inadeguatezze e contraddizioni – non esitano a punire cittadini che non hanno infranto alcuna legge o norma, sovvertendo i principi culturali, prima ancora che giuridici, dello stato liberale e di diritto. Lo sciopero della fame è un NO definitivo a un sistema autoritario che, mentre strumentalizza e distorce ogni giorno il fatto pandemico, non sembra porsi minimamente il problema della ricucitura delle tragiche lacerazioni inferte al tessuto sociale, né sembra cogliere l’urgenza di rimuovere totalmente e definitivamente, il regime di segregazione a cui è costretta una parte della popolazione. Questa comprende centinaia di migliaia di adolescenti e minorenni – gli stessi sulla cui crescente emergenza psichiatrica si spendono fiumi di parole, ma che di fatto sono privati di qualsiasi voce, cura e tutela. Il digiuno è anche una forma di compartecipazione alle privazioni imposte a milioni di persone di ogni età che, per decreto governativo – e con l’approvazione o il silenzio di consulenti, garanti, scienziati, magistrati e commentatori – si vedono escluse dalla vita sociale, dal diritto al lavoro, dalla libertà costituzionale di circolazione, dalle più svariate opportunità di formazione e di benessere. Una sub-popolazione di sub-umani, condannata di fatto alla non-esistenza, come espresso dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che dicendo “Lascio un Paese unito” ha detto una cosa vera, a patto di escludere dall’idea stessa di cittadinanza milioni di cittadini, separati al punto da non essere nemmeno percepiti, se non per essere discriminati, intimiditi e umiliati.
Unita è solo la parte del Paese che “esiste” – poi ci sono le “non persone”, ombre invisibili, innominabili, inesistenti, le loro storie, i loro figli. Non si ricorda a memoria d’uomo, nella Repubblica Italiana, una simile violenza dello Stato contro i propri cittadini. Si intravedono peraltro insistenti segnali di un corso politico che tende a installare questa forma di autoritarismo in modo permanente nel cuore stesso del “sistema operativo” che sovrintende alla relazione tra Stato e cittadino: in diversi circoli, in questi giorni, è in discussione il prolungamento delle attuali forme di discriminazione nel godimento di diritti elementari anche oltre la durata dello stato di emergenza formale e anche in assenza di un’effettiva emergenza. È l’ultimo passaggio: la normalizzazione dell’inconcepibile. Se questa situazione non può che suscitare la più irriducibile opposizione politica e la più forte preoccupazione per il futuro della democrazia, il pensiero delle centinaia di migliaia di adolescenti e giovanissimi esclusi con inaudita e insensata brutalità da aspetti essenziali della loro esistenza è causa di una sofferenza insopportabile.
L’astensione dal cibo è, ancora, un gesto di lucidità e consapevolezza personale, compiuto attraverso il silenzio e la sottrazione: sottrazione da un tempo irriconoscibile, inaccettabile, nel quale al potere politico viene consentito di manifestarsi con un volto fino a questo punto minaccioso, vendicativo, paternalista e irrazionale. Dove le forze progressiste ed egualitarie dalla società, e i sistemi di controllo e garanzia istituzionali, sembrano avere abdicato al loro ruolo. Il nostro sciopero della fame non veicola alcuna richiesta o rivendicazione, se non quella di rimuovere totalmente e incondizionatamente, in via di principio, ogni forma di discriminazione. Le argomentazioni sono già state ampiamente poste e oggi, dopo una vertiginosa escalation nella scala della discriminazione, la segregazione di massa sembra essere accettata come un fatto normale. Quindi resta soltanto da presentare alle coscienze degli Italiani e degli osservatori internazionali un fatto: corpi che si privano volontariamente del proprio sostentamento per esprimere solidarietà ai corpi invisibili delle donne rimosse, degli uomini rimossi, dei loro figli, privati di diritti, sostentamento, cittadinanza, dignità e futuro.
Il 15 febbraio hanno aderito allo sciopero della fame anche il medico Antonella Marsilia e la pedagogista Licia Coppo.