IL MORBO DI PARKINSON:IL MALATO NON E’ PIU’ PADRONE DEL SUO CORPO

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Il morbo di Parkinson fu scoperto, e pertanto porta il suo nome, nel 1817 come “paralisi agitante”.

mononucleosi
Dottor Professor
Aldo Ercoli

Tuttavia egli non contemplò nella sua descrizione la bradicinesia (lentezza nei movimenti volontari) né la rigidità (corpo piegato in avanti, ossia postura flessa; resistenza allo spostamento passivo di un arto; fenomeno della “ruota dentata”, vale a dire la resistenza di diversi segmenti di un arto che cede a strappi): Solo alla fine dell’Ottocento Jean Martin Charcot precisò il quadro clinico (chiamandolo Parkinson) dimostrando l’assenza di una vera e propria ipostenia (diminuzione delle forze) e distinguendo la rigidità dalla bradicinesia.

Vi è un danno anatomico a livello cerebrale, una degenerazione dei neuroni pigmentati della parte compatta della “substantia nigra” del mesencefalo. Ciò comporta una mancata stimolazione della dopamina ai muscoli striati, quelli che dovrebbero essere sotto il controllo della nostra volontà.

Anche se può presentarsi in età infantile, esordisce nella maggior parte dei casi tra i 40 ed i 70 anni (picco a 50 anni). Inizia un modo subdolo e progredisce in forma insidiosa non sempre facile da diagnosticare nei primi anni. Colpisce, un individuo su mille e circa uno su duecento dopo i 65 anni di età. Quando vi è la “paralisi agitante” è troppo tardi.
Il morbo di Parkinson va diagnosticato prima.
Come si presenta il paziente? Quali sono i suoi segni e sintomi? Quanto è importate la storia clinica (anamnesi) e una visita medica accurata?
Negli stadi avanzati il malato, sia uomo che donna, è facile da riconoscere. Trattasi di un soggetto che non è più padrone del proprio corpo e se ne rende perfettamente conto perché è lucido come intelletto. Un “giocatore di poker” dalla faccia senza espressioni, con lo sguardo fisso, quasi senza ammiccamenti (fare segni con l’occhio) perfetto al tavolo da gioco, quasi imbattibile se le carte non sono truccate. Lui però non sta giocando e vincendo, lui sta veramente male. E’ presente, direi immancabile e peculiare, il tremore a riposo, come se stesse contando con il pollice e l’indice delle monete (“far pillole”), un banchiere rigido, composto che aumenta il suo lavoro quando è più stressato. Non solleva mai le mani verso l’alto, contro la gravità, perché potrebbe spesso avere un tremore intenzionale più frenetico. Assai di frequente il tremore, ripeto a riposo, inizia in un arto o in un lato del corpo. Osserviamolo mentre cammina. E’ rigido nella postura, col busto piegato un po’ in avanti, procede a piccoli passi lentamente con una certa difficoltà nel mettersi in moto ma anche nell’arrestarsi (riduzione dei movimenti alternati rapidi). Se poi deve voltarsi per tornare indietro, perché o viene chiamato oppure si è dimenticato qualcosa, il suo girarsi col busto, con le braccia e specie con le gambe rallenta ancora di più. Ben comprende che non può fare altrimenti, non è più lui il padrone del suo corpo, potrebbe cadere all’indietro. Se gli andiamo in contro per stringergli, come prima del Covid, la mano notiamo il suo tremore quando l’arto è fermo. Lui lo sa e vi saluta a distanza. Guardiamolo allora più di vicino quel volto inespressivo e fisso come se portasse una “maschera facciale”, con quegli occhi ben fermi che non “battono le ciglia” se non di rado. Sovente deve deglutire perché ha troppa saliva in bocca. La sua voce ha toni più bassi, un po’ roca perché deve sforzarsi per alzare il volume del suono. Se osserviamo la sua scrittura, è molto piccola (micrografia, piccoli caratteri manuali), difficile da leggere. Vi è poi una certa riduzione dei movimenti involontari, a causa dello stato di contrattura generale, quando si compiono dei movimenti volontari o passivi degli arti del lato opposto. Si chiamano sincinesie in medicina questi fenomeni, dal greco “movimenti associati”.

Se ci pensate bene nel Parkinson vi sono quasi tutti segni di patologia, molto rari o del tutto assenti i sintomi che il paziente vi riferisce. Lui lo sa, la mente è lucida, non vuole farsi scoprire disagiato. Una forma eroica di dignità personale. Solo nelle fasi più avanzate della malattia si può talora osservare un certo deterioramento mentale, un po’ di confusione. Talora compaiono delle piaghe da decubito dovute all’immobilità. Il malato però, se ancora lucido, le affronta senza drammi (il dramma è dentro di se). Intatta è la sua fierezza, non vuol scoprire le sue carte (torniamo al poker), né essere commiserato. L’ultimo parkinsoniano che ho visto, pur ultraottantenne, mi sfidava scherzosamente a “braccio di ferro”. La sua forza muscolare era intatta, cosi come la sua sensibilità cutanea. Normale anche i riflessi tendinei profondi quando lo percuotono dolcemente col martelletto. Non un grido, non un lamento, solo quello sguardo fisso e fiero, “occhi negli occhi”. Ho avuto per più di 25 anni mio padre affetto da questa malattia e visto centinaia di casi.

E’ per questo che ho dato molto risalto all’anamnesi e all’esame obiettivo (i miei due “pallini” della Semeiotica). Gli esami radiologici, l’EEG (elettroencefalogramma) e la puntura lombare (rachicentesi) sono di solito normali. La terapia? Allevia i sintomi, migliora la qualità della vita e anche la durata. Credo che sia meglio che la prescriva un bravo neurologo.