“POTEVAMO VINCERE! SE SOLO L’AVESSIMO VOLUTO”, DI GIANFRANCO GIULIVI

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UNA PASSIONE TRASFORMATA IN UN LIBRO. 

«Chi non vuole conoscere la propria storia è come qualcuno che non è mai nato» (Cicerone)

 Il 2 dicembre 2021 si è tenuta la presentazione del libro di Gianfranco Giulivi, nato a Roma nel febbraio del 1945, revisore contabile in pensione, è da sempre grande appassionato delle materie storiche e geografiche, autore di “Potevamo vincere! Se solo l’avessimo voluto”.

gianfranco giulivi
L’autore Gianfranco Giulivi e il giornalista Parisi durante la presentazione del libro.

 Lo scrittore inizia a redigere la sua opera, di 600 pagine raccolte in circa 20 capitoli, prima della Pandemia del Covid-19. Il saggio è il frutto di un approfondito studio e di una meticolosa ricerca da parte di Giulivi per mezzo della lettura di 850 libri presenti nella sua biblioteca personale. L’immagine della copertina è significativa, si tratta infatti della testa di Mussolini, scolpita nel 1936 in Etiopia dai soldati italiani. 

Grande conoscitore della II Guerra Mondiale, giunge a un punto della sua vita in cui vuole ardentemente trovare la verità e, una volta acquisita, divulgarla. Il libro è incentrato sul pensiero dell’autore, secondo il quale ci sono forti dubbi sulla sconfitta subita in guerra, probabilmente causata da quelli che definisce «errori strategici» che hanno condotto alla disfatta.

Inoltre, spiega e documenta questi «errori», i quali in realtà potrebbero essere stati voluti. All’interno del volume sono presenti storia e politica. Illustra i giochi di potere che sono intercorsi nello scenario bellico. Racconta quella che, secondo il suo punto di vista, è la reale versione dei fatti, facendo riferimento all’andamento degli avvenimenti, episodi e casi, sia come sono state tramandati a noi, che dal punto di vista del percorso che lo ha portato alle sue considerazioni finali.

 Il tutto è costellato da osservazioni, che naturalmente si presentano come supposizioni, riguardo il motivo secondo il quale è stata forte la volontà di perdere la II Guerra Mondiale e di narrazioni sulla nostra storia non per come realmente è stata. 

 Il convegno si apre con una piccola introduzione di Gianfranco Giulivi, il quale definisce il suo volume «un’opera che va contro la storiografia attuale». Una raccolta di informazioni e dati nati da uno studio appassionato degli 850 testi sopra citati. “Potevamo vincere! Se solo l’avessimo voluto” narra di fatti realmente accaduti, sui quali l’autore invita a riflettere e a formulare una propria interpretazione.

 Intervento di Antonio Parisi – Alla presentazione del libro è intervenuto il giornalista e scrittore Antonio Parisi, direttore di Consul Press, il quale ha aperto il convegno con un discorso dettagliato e coinvolgente.

 Incomincia dalla caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989), in seguito alla quale una serie di giornalisti, definiti “revisionisti”, hanno cominciato a trattare notizie, secondo le quali molti misteri della storia europea (ma anche mondiale) sarebbero stati finalmente chiariti. Già qualche anno prima, negli archivi di Washington grazie a una decisione del Congresso degli Stati Uniti è stato possibile accedere a inquietanti bobine, dalle quali, ancora prima della caduta del Muro (alla fine degli anni ‘70) si è iniziato a conoscere documentazioni relative alla II Guerra Mondiale.

 Uno degli argomenti più discussi all’epoca è stato quello relativo alle navi italiane che avevano un prezzario. Chi favoriva l’affondamento di una corazzata aveva un valore di alcuni milioni di sterline, un incrociatore corazzato un altro prezzo ancora e così via. Sembra, tuttavia, che qualche cifra fosse stata pagata agli Ufficiali italiani. Un vero e proprio scandalo! Ma alla fine è stata risolta in un fuoco di paglia e non si è più parlato di questa vicenda. 

 Parisi definisce la II Guerra Mondiale «un fatto di stato tra i più complicati», tanto che di alcune vicende ne verremo forse a conoscenza fra qualche centinaio di anni. Per quanto riguarda l’Italia capire che cosa è successo è molto importante, poiché ciò che è capitato non risulta essere affatto chiaro.

 I veri appassionati sanno molto bene che la storia presenta spesso casi curiosi. Il giornalista porta ad esempio il momento in cui i trattati venivano stipulati dai re, quando la politica internazionale degli Stati presentava degli aspetti, che Parisi definisce «curiosi»: il Sovrano A faceva la guerra al Sovrano B, il Sovrano C faceva finta di essere alleato del Sovrano B, ma in realtà era amico del Sovrano A.

 A questo punto si entra nel vivo dei temi trattati dal libro presentato durante la conferenza. 

 Giulivi parla di una particolare clausola (articolo 16) del Trattato di Pace, il quale enuncia  «L’Italia non incriminerà né molesterà i cittadini italiani, particolarmente i componenti delle Forze Armate, per il solo fatto di aver espresso simpatia per la causa delle Potenze Alleate e Associate o di aver svolto azioni a favore della causa stessa durante il periodo compreso tra il 10 giugno 1940 e la data di entrata in vigore del presente trattato».

 A questo proposito viene ricordata la storia di Camilla Agliardi, la quale, fisicamente insignificante ma molto intelligente, aveva come amante un Ufficiale impiegato al Ministero della Marina, in cui si progettavano i piani delle battaglie italiane. L’uomo consegnava i piani di battaglia a Camilla, la quale li vendeva alla Francia. In seguito a un susseguirsi di episodi entrambi sono stati arrestati. Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (Tribunale fascista) condanna a morte l’Agliardi e l’Ufficiale amante. Tuttavia, a Camilla viene commutata la pena in ergastolo. Nel 1946, firmato il Trattato di Pace, viene liberata e fatta fuggire a Montecarlo, in cui si è stabilita fino alla sua morte.

 Esistono, aggiunge Parisi, episodi, verificatesi nel corso del II Conflitto Mondiale, alcuni dei quali sono capitati per negligenza altri per alleanze con il nemico (come la mancata collaborazione tra l’Aviazione e la Marina)

 Nel testo viene anche citato Francesco Scoppola e il caso delle lettere, che illuminerebbero con una luce chiarificatrice il perché l’Italia fosse entrata in guerra. Sono presenti molti indizi. Se è vero che con un indizio solo non si viene condannati, esclama Parisi, con una massa di indizi questo invece è possibile. Inoltre, afferma che chiunque abbia trattato questi argomenti, così delicati, avesse perso la vita.

 L’ultimo re d’Italia, Umberto II di Savoia, ha rilasciato un’intervista alla RAI e ha fatto cenno ad alcune lettere, che suo padre aveva scambiato con il Presidente della Repubblica Francese, ma non aggiunge altri dettagli. A quali carteggi il Re ha fatto riferimento?                                                                  A 12 lettere che la Repubblica Francese ha inviato a Vittorio Emanuele III e, non fidandosi dei consueti canali diplomatici, sono passate attraverso il Vaticano. A queste epistole il Sovrano ha risposto. La richiesta che gli veniva mossa era che l’Italia entrasse in guerra, ma non a fianco della Francia (come avvenuto per la I Guerra Mondiale), bensì contro la Francia stessa e l’Inghilterra, a fianco della Germania, poiché il Governo francese aveva capito ormai di aver perduto la Guerra e occorreva dunque che l’Italia assumesse un ruolo mitigatore.

 La questione delle lettere era un fatto assodato, ne aveva parlato lo stesso re. Dunque, sono esistite realmente. Quando gli esecutori testamentari di re Umberto sono arrivati a Cascais le epistole erano sparite e non se ne è mai più saputo niente, se non solo in casi isolati.

 Parisi pone una domanda agli astanti: sono verosimili questi fatti? La risposta è sì. Sono stati elaborati a riguardo molti libri di alcuni giornalisti e tutti conducono a una conclusione univoca. Gli Italiani hanno fatto una guerra finta per i primi 6 mesi. All’improvviso, conclude Parisi, è diventata reale con l’Attacco di Taranto (11-12 novembre 1940).  

 Presentazione di Gianfranco Giulivi – “Potevamo vincere! Se solo l’avessimo voluto” è un testo, uscito nel febbraio del 2020, nato in occasione dell’80º anniversario della II Guerra Mondiale, per ricordare l’entrata in guerra dell’Italia. 

 Se gli Italiani avessero voluto vincere la Guerra, afferma l’autore, in 4, se non addirittura in 6 mesi, ciò sarebbe potuto accadere. Al contrario, si è lasciato che vincesse la Germania. Mentre quest’ultima era ferma sul fronte occidentale e non era riuscita a invadere l’Inghilterra, contro la quale ha fallito nella battaglia aerea, l’Italia ha aperto un secondo fronte nel Mediterraneo, in cui l’esercito inglese era molto debole.

Giulivi: «Davanti a noi c’era il vuoto!»

 Le navi della flotta italiana erano 331 contro le 62 navi inglesi (le stesse che avevano nella I Guerra Mondiale) distribuite su due porti distanti circa 3000 Km l’uno dall’altro (Alessandria d’Egitto e Gibilterra).

 Da parte del Maresciallo Pietro Badoglio (che nel 1941-1942 tramava contro l’Italia in accordo con il Presidente Roosevelt) sono state date direttive ben precise: se ci si fosse imbattuti in una flotta anglo-francese il comando sarebbe stato «attaccare!», nel caso di una flotta esclusivamente francese, questa si sarebbe dovuta ignorare. Ha dato inoltre ordine di non fare alcuna azione di guerra, di rimanere quindi sulla difensiva, al fine di mantenere intatta l’integrità dell’Impero.  Secondo l’autore se fossero stati inviati i giusti mezzi all’esercito italiano e date direttive diverse, probabilmente i fatti avrebbe preso una piega differente. Vi è stata dunque una mancanza dell’uso strategico dell’Impero, un tratto del quale non è stato difeso giustamente, inficiando sul controllo del Mar Rosso e degli Inglesi, che altrimenti avrebbe portato a una strage di convogli da parte degli Italiani.

Giulivi insomma parla di «boicottaggio» della Guerra e, dunque, di un gesto di alto tradimento, prima di tutto nei confronti di chiunque abbia sacrificato la propria vita al fronte in un conflitto in cui credeva ardentemente, fino ad arrivare a tutte le conseguenze che, secondo il suo pensiero, sono derivate da quella sconfitta e che ancora oggi espiamo. Le possibilità di vincere la Guerra le abbiamo avute, ma non le abbiamo sfruttate.

Lo scrittore riporta l’esempio della mancata invasione di Malta e della 6º Armata italiana (conosciuta nella I Guerra Mondiale come Armata degli Altipiani), anche nota come Armata del Po (creata alla fine del 1938 e un elemento valido ed efficace per il nostro esercito), schierata completamente nella Valle Padana, era un vero orgoglio per l’esercito italiano. Si trattava di un’Armata motocorazzata, il possesso della quale a quei tempi era più unico che raro: 50’000 uomini, 450 carrarmati, mezzi motorizzati, cannoni e molto altro. Nonostante ciò, è stata tenuta in disparte. Carrarmati, automezzi, rimasti bloccati nella Valle del Po e, solo in seguito, inviati una parte in Africa (soprattutto settentrionale) e una parte in Russia. 

 Molti altri esempi simili a questo sono stati menzionati da Giulivi durante il convegno. Si parla di strategie sbagliate, ma volute.

 Il problema, secondo il pensiero dell’autore, è stato che molti dei capi italiani hanno venduto la Guerra al nemico, altrimenti l’articolo 16 del Trattato di Pace non avrebbe avuto scopo ed è una clausola presente solo con l’Italia. Cita inoltre una «Triade», Cavagnari – Riccardi – Parona, che ha stipulato un contratto con l’addetto militare inglese in Svezia, tramite un ingegnere svedese, che intratteneva contatti con la Marina italiana per motivi commerciali. In questo impegno era presente un prezziario (300’000 dollari per una corazzata, 200’000 dollari per un incrociatore e così via).

 La lettura di questo importante saggio non è per tutti. Richiede infatti una buona preparazione sulla storia in generale, sul periodo della II Guerra Mondiale in particolare. 

«Buona o cattiva, è la mia Patria!» – Gianfranco Giulivi, guardia d’Onore del Pantheon, patriota nel cuore, può dunque non essere d’accordo con il suo Governo, ma non gli combatte contro. 

 Tutto è stato calcolato e nulla lasciato al caso. L’Italia era in possesso di una delle flotte mercantili più grande al mondo e molto moderna. Il primo giorno di guerra (10 giugno 1940) è stato perso un terzo dell’intera flotta, perché i soldati non sono stati avvisati per tempo, rimanendo bloccati nei porti nemici. Sembra che alcune di queste navi italiane siano state usate addirittura contro gli Italiani stessi.

 Il saggio conta circa 600 pagine raccolte in 20 capitoli, tra i quali vengono trattati i fattori esogeni e endogeni che hanno caratterizzato la Guerra. Tra questi ultimi troviamo l’episodio della battaglia di Dunkerque (26 maggio-4giugno 1940) e fa riferimento alla presenza della Città del Vaticano e di San Marino (nel quale vigeva un governo filofascista) in Italia. Due Stati all’interno di una Nazione. In particolare, il Vaticano era ricco di spie, perché gli ambasciatori inglesi, francesi e quelli delle Nazioni in stato di guerra con gli alleati, anziché fuggire si sono rifugiati all’interno dello Stato Vaticano e da lì continuavano ad avere informazioni e a trasmetterle agli Inglesi e agli Americani tramite la Svizzera e altri mezzi (come ha riportato una spia inglese infiltrata).

Gli eventi riportati sembrano essere talmente eclatanti che ci si interroga inevitabilmente sul perché nessuno abbia potuto mettere in atto o esporre le medesime questioni di cui si è discusso durante la presentazione del libro “Potevamo vincere! Se solo lo avessimo voluto”. Antonio Parisi risponde in maniera semplice ma allo stesso tempo eloquente con «a chi lo si poteva andare a raccontare!?».

In conclusione, l’Italia, dice Giulivi, avrebbe potuto vincere la II Guerra Mondiale poiché era in possesso di grandi forze. Tuttavia, non sono state utilizzate, perché «abbiamo voluto perdere la Guerra» a causa di una tipica organizzazione «all’italiana».

 Flavia De Michetti