L’autolesionismo viene definito come un insieme di “comportamenti deliberatamente orientati al provocarsi dolore fisico. Questi comportamenti non hanno a che fare necessariamente con tentativi di suicidio o desiderio di togliersi la vita”.
I principali comportamenti autolesionistici sono il procurarsi volontariamente
1- tagli,
2- bruciature,
3- marchi.
L’organo bersaglio è la pelle. Questo tipo di comportamento è tipico dell’adolescenza, età in cui l’individuo cerca di allineare le sensazioni del Sè, del mondo e del corpo nel tentativo di farli comunicare in modo più ordinato.
Ormai è chiaro che l’adolescenza è un periodo di profondo cambiamento e di passaggio, in cui si modificano i parametri attraverso cui si osservano e si vivono il mondo, il proprio corpo e le proprie emozioni. È il periodo del conflitto con l’autorità principale, i genitori, attraverso cui l’adolescente cerca di scavalcare i confini ma contemporaneamente li cerca per introiettarli.
Cosa “non è” l’auotolesionismo?
1) non è una condotta suicidaria o un tentativo di suicidio, poiché la persona è molto attenta a procurarsi la lesione in modo superficiale e che sia lontana da punti vitali. Solitamente l’adolescente evita i polsi ma si concentra in zone che sono ben coperte e nascoste (interno cosce, interno delle braccia, ecc.);
2) non è una ricerca di attenzioni perché le ferite vengono ben nascoste;
3) non è una comunicazione del disagio perché le condotte autolesionistiche vengono accuratamente nascoste ed eseguite in segreto;
4) non è uno sfogo immediato della rabbia o del dolore poiché le condotte autolesionistiche si verificano lontane da momenti di tensione.
Allora, cos’è l’autoelsionismo?
Dal punto di vista neurofisiologico, la questa condotta fa scaricare l’adrenalina (che aumenta la soglia di vigilanza ed amplifica le emozioni), stimola la produzione di oppiacei (che producono una sensazione di calma e stimolano i circuito della dipendenza) e di serotonina (implicata nel circuito dell’impulsività). Questi meccanismi portano l’adolescente, a livello psicologico, a raggruppare le tutte le emozioni concentrandole in un punto solo del corpo ma sentendone solo due, il dolore e il piacere; danno, inoltre, il via alla ripetizione e ad una vera e propria dipendenza. Quando vengono raccontati gli episodi di autolesionismo, sembra quasi si sia davanti ad una serie di rituali. L’inizio avviene quando il ragazzo contatta con un evento doloroso ma da cui si distacca completamente provando solo un senso di vuoto. Nei giorni successivi (che possono essere anche molti) il ragazzo prova una grande instabilità dell’umore, passando da improvvisi momenti di rabbia, senza un preciso motivo apparente e verso chiunque, alternati a momenti di abbassamento del tono dell’umore in cui sente principalmente apatia e con molti sensi di colpa. Arriva, poi, l’immagine del taglio che tende essere allontanata.
Poi arriva la decisione di tagliarsi e questo momento viene programmato perché non deve essere interrotto. Può essere procrastinato se ci sono degli ostacoli (per esempio la presenza dei genitori in casa). Poi arriva il momento. Il ragazzo si taglia, a casa o a scuola, con qualsiasi cosa (lamette, vetro, forbici, ecc.): il taglio deve essere eseguito non troppo profondamente ma neanche essere troppo superficiale, deve essere più o meno della stessa grandezza e in un posto preciso e prescelto. Il sangue che cola dà gioia e tranquillità misto alla sensazione di lieve bruciore della ferita.
E il ciclo si conclude fino al prossimo….
Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta Psicologa Giuridico-Forense
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