Cop26, l’ennesimo buco nell’acqua?

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Alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima nessun accenno all’impatto ambientale degli allevamenti intensivi, considerati dagli esperti una delle cause principali dei cambiamenti climatici.

Si è raggiunto un patto sulla deforestazione: stop completo entro il 2030 e, dove possibile, impegno per invertire il trend, piantando più alberi di quelli che vengono abbattuti. Con la firma di 114 Paesi che dovranno preservare intatte in questo decennio le foreste esistenti. Ha sottoscritto l’accordo anche il Brasile, nel mirino degli attivisti per la devastazione dell’Amazzonia, e il Canada – che da sempre considera il legname una risorsa economica imprescindibile. In tutto, i Paesi che hanno accettato l’impegno possiedono oltre l’85% delle foreste mondiali.

Capitolo emissioni. Solo 40 Paesi (tra cui anche l’Italia) hanno firmato l’accordo per ridurre le emissioni derivanti dall’uso del carbone entro il 2030. Grandi assenti Cina, India, Australia e Stati Uniti, che risultano tra i principali consumatori di carbone nel mondo. Per le emissioni di metano è stato firmato invece il Global Methane Pledge: oltre 100 Paesi si impegnano a ridurre del 30% le emissioni di metano, entro il 2030.

Non si fa nessun accenno alla questione degli allevamenti intensivi e al loro impatto sull’ambiente. L’ipotesi che la Cop26 avrebbe potuto non dare peso alla questione degli allevamenti intensivi era già paventata da tempo. Non a caso, prima dell’inizio della Conferenza sul clima, 18 personaggi famosi – tra cui Billie Eilish, Joaquin Phoenix e Moby – hanno firmato la lettera per chiedere di riconoscere pubblicamente il ruolo dell’agricoltura animale come uno dei maggiori responsabili del cambiamento climatico. Eppure, ancora una volta, sembra di essere di fronte a un tabù, una questione che tutti conoscono, ma che nessuno vuole affrontare.

Secondo uno studio dell’Università di Oxford, “l’eliminazione di tutte le emissioni di questi settori non sarebbe comunque sufficiente per raggiungere gli obiettivi stabiliti con l’accordo di Parigi. Il sistema alimentare globale è una delle principali fonti di emissioni di gas serra, circa il 30% del totale globale“.

Si calcola che, ogni anno, la produzione di cibo porti a immettere nell’atmosfera 16 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Già nel 2018, gli studiosi dell’Università di Oxford avevano pubblicato una ricerca nella quale si afferma che i prodotti di origine animale contribuiscono per il 58% alla produzione di gas serra legati al cibo.

Il passaggio alle diete plant-based è il primo passo concreto verso la soluzione del problema. Lo sappiamo, ormai da anni lo sostengono gli esperti di tutto il mondo. Rimane da chiedersi perché il sistema alimentare non sia una priorità per chi ha in mano il futuro del pianeta. Leggi anche qui