INCURIA E MANCATA GESTIONE DELLE AREE VERDI HA TRASFORMATO UN INCENDIO IN UNA CATASTROFE.
di Angelo Alfani
Apocalittico, infernale catastrofico: questi gli aggettivi con cui è stato definito il grande incendio che ha devastato il nord dell’oristanese. Spettrale, incenerito, irrecuperabile: gli aggettivi con cui viene descritto, dopo il passaggio devastante, il paesaggio del Montiferru. Avevo lasciato Cuglieri tre giorni prima della catastrofe per impegni inderogabili. Ho vissuto dunque in differita la catastrofe tra telefonate, pianti, inviti a pregare da parte di amici cuglieritani, che in più di dieci anni di vacanza, ho imparato a conoscere e stimare. La cortina fumosa generata dal fuoco che scendeva e risaliva sotto il comando del vento lungo i canaloni ai piedi del Montiferru ha oscurato i raggi solari offrendo uno scenario che sembrava uscito dalla fotografia di un film di fantascienza: un effetto cromatico apocalittico sulle note dell’arancione.
Le origini degli incendi possono essere diverse: da quelle dolose, le più frequenti, a quelle definiamole accidentali. E sullo scaturire del fuoco difficilmente si può intervenire: che un incendio sia innescato in un certo momento non è una cosa dunque che si possa prevenire. Quello che invece sarebbe possibile e dovrebbe essere nelle responsabilità delle Autorità preposte è la prevenzione, la salvaguardia ed il pronto ed efficace intervento nel domare, nel rendere innocuo il focolaio. Ci sta di mezzo quindi la gestione dei boschi e delle aree verdi. Questo non è avvenuto: da qui il drammatico spettacolo, da qui le strazianti immagini di pecore ed armenti bruciati e rigonfi, le distruzioni di boschi atavici, di uliveti centenari.
Riporto quanto scritto da Maria Giovanna Campus:“Se fosse possibile fare una sintesi dell’immane catastrofe del territorio di Cuglieri, penso che essa potrebbe essere ben rappresentata dal martirio dell’ olivastro millenario di Sa Tanca Manna. Il tronco del nostro patriarca stamane bruciava ancora e, avvicinandosi, si poteva sentire il crepitio del fuoco nel tronco e vedere il fumo che si innalzava e veniva disperso dal vento. L’aria odorava di Morte ed anche i colori erano colori di morte: morte di un giusto che ha dispensato ombra e pure saggezza ai tanti che sostavano sotto la sua chioma. Ne avevamo riconosciuto il valore e la bellezza tanto da dichiararlo monumento naturale e, quindi, avevamo realizzato le opere necessarie alla sua valorizzazione ed a consentirne la fruizione; poi ne avevamo segnalato orgogliosamente la presenza ai numerosi visitatori. Infine abbiamo finito per trascurarlo, tanto che l’abbiamo abbandonato alle fiamme, mentre sarebbe bastata la pulizia dell’area circostante per proteggerlo e per conservarlo. Così anche l’olivastro millenario se ne va in fumo ed in cenere. Impareremo dagli errori?”
Questa orazione funebre potrebbe essere officiata anche per altre infinite devastazioni: basterebbe ricordare la pineta di Ceri, e quanto sta avvenendo nell’indifferenza totale della via di pini e cipressi che conduce alla Banditaccia. Impareremo dagli errori? Credo proprio di no!