Il codice etico è una questione di democrazia

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codice etico

E’ indispensabile una morale degli affari al fine di ridare credibilità alle imprese perché esse sono non soltanto lavoro e capitale, ma anche società e clienti.

di Antonio Calicchio

Marx aveva una concezione tragica del nesso fra valori morali ed economia capitalistica, concezione la quale gli fece dire che, nell’ambito del capitalismo, “l’aumento di valore del mondo delle cose è direttamente proporzionale alla diminuzione di valore del mondo umano”. Ma se ciò fosse vero, allora solamente la scomparsa del capitalismo potrebbe garantire un mondo moralmente decente. Pur essendo noto come molteplici spiriti apocalittici e religiosi abbiano condiviso una tesi tanto radicale, è analogamente vero che la maggior parte delle persone ha un pensiero differente. In tal caso, coloro che non siano moralmente indifferenti debbono distinguere capitalismo da capitalismo, allo scopo di capire quando e perché il nostro habitat morale viene turbato e disturbato dal sistema economico.

La crisi dei rapporti tra mondo economico e quello politico ha reso più impellenti e meno elitarie le domande dell’etica degli affari. Termini come “corruzione” hanno un senso morale, oltre che giuridico. Ad es., Tangentopoli ha messo a nudo impietosamente le deficienze etiche sia dei politici, che degli imprenditori. E così, non sorprende l’esigenza di un codice etico o di comportamento in vista di applicare alle imprese i principi-guida dell’etica degli affari.

Altrettanto evidentemente, l’esistenza di un codice etico genera obiezioni. Talune scaturiscono da disinformazione o timore di interventi autoritaristici. Talaltre ancora promanano da partiti politici o gruppi religiosi che aspirano ad un monopolio della formazione morale e, dunque, temono qualsivoglia concorrenza ad opera della società civile. In ambedue i casi, trattasi di obiezioni che fanno più perdere tempo che guadagnare conoscenza, e, pertanto, non vale la pena esaminarle.

Ed invece, vi sono altre obiezioni che vanno discusse. Ad es., molti imprenditori asseriscono che il codice etico impone numerosi doveri, in un Paese che manca di tutto, eccetto che di norme. Ed infatti, l’impresa che adotta un codice etico, che non sia mera immagine, si assume impegni ulteriori. Vale la pena di farlo volontariamente? Forse sì, qualora le imprese vogliano riconquistare fiducia sociale. Dei sindacati obiettano, per contro, che i codici etici si pongono dalla parte dell’impresa e non da quella dei lavoratori, e, perciò stesso, risultano inaccettabili ai loro occhi.

Orbene, è importante, al riguardo, come l’impresa venga concepita. Se si muove da una concezione contrattualistica, allora l’impresa non è solo la proprietà o i dirigenti, ma è anche i lavoratori ed i clienti, la comunità e l’ambiente. Una diffusa obiezione ai codici etici si fonda sull’affermazione secondo sui essi funzionano unicamente nei Paesi in cui la maggior parte dei soggetti ha orientamenti morali precedenti con essi compatibili. In buona sostanza, andrebbero bene dove servono di meno, e male dove servono di più. Certo, ma ciò vale – come evidente – pure per la democrazia e la buona educazione. E noi non saremmo disposti a farne a meno.