“Catastrofe educativa” nell’età della tecnica e della omologazione

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catastrofe educativa

Parole urgenti e drammatiche quelle del pontefice, invitando a non restare inerti davanti alla catastrofe educativa in atto.

di Antonio Calicchio

Oggi c’è bisogno di una rinnovata stagione di impegno educativo, che coinvolga tutte le componenti della società, poiché l’educazione è il naturale antidoto alla cultura individualistica, che, a volte, degenera in vero e proprio culto dell’io e nel primato della indifferenza”. Così, papa Francesco si è pronunciato nel discorso al Corpo diplomatico, l’8 febbraio scorso, lanciando un appello secondo la prospettiva del Patto educativo globale, che deve sollecitare tutte le istituzioni – familiari, scolastiche, politiche – alla ricerca di nuove e valide sinergie fra le generazioni, tali da “riaggiustare il mondo”. 

Catastrofe educativa, dunque! Si tratta di una espressione tanto forte, quanto sconvolgente, la quale, benché ricorra, ormai, non di rado, nel dibattito pubblico e privato, tuttavia, lo scorso 8 febbraio, in occasione del discorso rivolto al Corpo diplomatico, ha ricevuto, dal papa, nuovo vigore, situandola egli nella più ampia e diffusa crisi antropologica in atto.
Che cosa significa?
Perduto il senso autentico dei rapporti, arrestata la trasmissione generazionale, divenute incerte progettualità e pratica familiare, non si riesce più a capire la ragione e la modalità di educare. La situazione è di non trascurabile importanza e dovrebbe essere oggetto di attenzione di politici, amministratori, dirigenti, intellettuali, opinionisti. Ed invece, se ne discute scarsamente e distrattamente, quasi che la questione educativa costituisca una preoccupazione di vecchi tromboni. No! La condizione dell’educazione è tale che non si può restare inerti, per il benessere morale, materiale e relazionale delle future generazioni, in particolare, nonché della società tutta, in generale. E’ indispensabile una rinnovata stagione di impegno educativo, che investa tutte le componenti della società, ci ricorda il papa.

Perché il tempo della delega unilaterale è cessato; e parlare di alleanza educativa non significa evocare una formula astratta, ma vuol dire affermare una responsabilità cui devono concorrere tutti, nessuno escluso, giacché esistono ambiti che coinvolgono principi fondanti ed inalienabili: ed infatti, famiglia e scuola esplicano un ruolo prezioso, secondo una progettualità che dovrebbe essere condivisa, pena l’irrilevanza del messaggio e l’inadeguatezza dei risultati. 

Vero è che il tempo della pandemia ha complicato e dilatato ogni cosa, ha aggravato isolamento e solitudine, caricando solo le famiglie di oneri e pesi insostenibili. Ma altrettanto certo è che, essendosi lo spazio da recuperare esteso, non si può più attendere. E se, da un lato, giusto ed opportuno appare richiamare il dovere e l’urgenza di far ricorso ad una nuova alleanza educativa, d’altro lato, allora occorre riempire siffatta espressione non solo di contenuti significativi, ma anche di progetti coerenti. Hic et nunc, però! Esiste una catastrofe educativa da superare.

Ed infatti, oggi, i bambini vengono sottoposti a numerosi stimoli che la loro psiche infantile non è in grado di elaborare: stimoli scolastici, televisivi, processi accelerati di adultismo, tante attività in cui sono impegnati, plotoni di baby-sitter cui sono affidati, in un deserto comunicativo in cui passano solamente ordini, insofferenza, poco ascolto, scarsa attenzione a ciò che, nell’ambito della loro interiorità, vengono elaborando. Quando gli stimoli sono eccessivi, in confronto alla capacità di elaborarli, allora al bambino non rimangono che due possibilità: andare in angoscia ovvero appiattire la propria psiche, cosicché gli stimoli non rivestano più alcuna risonanza. E in questo secondo caso, si verifica la psicopatia, cioè l’apatia della psiche che più non elabora e più non evolve, poiché più non “sente”. Gli psicopatici rappresentano un caso-limite dell’umano. Tuttavia, la psicopatia, come tonalità dell’anima a bassa emotività e a scarso sentimento, è qualcosa che si va espandendo tra i giovani che, lungo il corso della loro crescita, acquisiscono valori di intelligenza, prestazione, efficienza, arrivismo, se non, perfino, cinismo, nel silenzio del cuore. E quando il cuore tace e più non registra le cadenze del sentimento, allora la tragedia è già avvenuta, sebbene non sfoci in una strage.

Non si trascuri, altresì, la circostanza che, rispetto alle epoche che l’hanno preceduta, quella attuale è la prima a richiedere l’omologazione di tutti e di ciascuno, come presupposto dell’esistenza. Non, quindi, un’omologazione come elemento di fatto, bensì un’omologazione di principio, le cui ragioni vanno rinvenute in quella condizione per cui, nell’età della tecnica e della globalizzazione, lavorare significa cooperare entro la sfera di un apparato, in cui le azioni di ognuno sono già ab origine descritte e prescritte dall’organigramma ai fini del buon funzionamento dell’apparato stesso. Un’azione è omologata quando è conforme a una norma che la prescrive, ossia quando non è un’azione, ma è una conformazione. E conformazioni sono tutte quante le azioni che si pongono in essere in un apparato e in funzione dell’apparato, entro cui il “fare da sé” termina laddove inizia quel che “deve essere fatto” in perfetto accordo con le altre componenti dell’apparato.
E quando un mondo riesce a farsi qualificare come l’unico mondo, allora l’omologazione attinge livelli di perfezione tali che gli Stati assolutistici o dittatoriali delle epoche passate nemmeno avrebbero sospettato di poter attuare.