«…Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino».
Che cos’è esattamente il diritto di resistenza? E’ un concetto che viene spesso assimilato al concetto di disobbedienza civile ma che, vedremo, va oltre questo concetto (che pure comprende).
E’ un diritto che risulta espressamente codificato in moltissime Costituzioni, soprattutto nei paesi dell’America Latina.
Tra i paesi europei, il diritto alla resistenza è sancito nella Costituzione francese come il diritto di “resistere all’oppressione”, mentre in quella tedesca è riconosciuto ai cittadini il diritto di resistere contro i tentativi di abolizione della Carta costituzionale.
In Italia non trova collocazione espressa nella nostra Carta fondamentale, ma forse non tutti sanno era previsto in una delle primissime bozze della Costituzione; in particolare, l’articolo 50 (che poi sarebbe diventato l’attuale articolo 54) prevedeva che: “Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e le leggi, di adempiere con disciplina ed onore le funzioni che gli sono affidate. Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”.
Nella relazione alla bozza del testo costituzionale che conteneva tale articolo si affermava, inoltre, che “Al principio di fedeltà ed obbedienza alla pubblica autorità fa riscontro quello di resistenza, quando l’autorità viola le libertà fondamentali” dal momento che “la resistenza all’oppressione, rivendicata da teorie e carte antichissime, è un diritto e un dovere, del quale non può tacersi, anche e proprio in un ordinamento che fa capo alla sovranità popolare”.
Nel testo definitivo della Carta costituzionale, il diritto di resistenza non venne poi previsto; in particolare, l’art. 54 della Costituzione, nella sua formulazione definitiva, prevede che “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini, cui sono affidate le funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento”.
Non si deve però confondere il dovere di fedeltà con quello di obbedienza, trattandosi di due concetti profondamente diversi. Infatti, il dovere di fedeltà alla Repubblica, e quindi alla Costituzione ed in particolare ai principi fondamentali che ritroviamo in essa, certamente prevale sul dovere di obbedienza, di cui peraltro costituisce il presupposto giuridico.
Quindi, si può affermare che in caso di contrasto delle leggi in vigore
con i principi fondamentali dell’Ordinamento Costituzionale, è l’obbedienza a questi ultimi che deve prevalere sull’obbedienza alle leggi.
Di fatto, torna alla ribalta il diritto di resistenza che, tra l’altro, secondo autorevoli costituzionalisti, è un diritto che esiste a tutti gli effetti, anche se implicitamente, essendo una delle garanzie di difesa della Costituzione, in caso di violazione dei principi fondamentali in essa stabiliti.
In particolare, secondo alcuni il diritto di resistenza trova la sua legittimazione nel principio della “sovranità popolare”, sancito nell’art. 1 della Costituzione in cui si evidenzia che la sovranità “appartiene” al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Secondo altri, la fonte di questo diritto non sarebbe la sovranità popolare, bensì risiederebbe nella sussistenza dei diritti inviolabili.
Si ritiene che sussista anche una collocazione costituzionale di tale diritto, benché implicita, e la si trovi in particolare negli articoli 1 (riconoscimento della sovranità popolare), 2 (riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo), 3 (pari dignità sociale di tutti i cittadini) e nel già citato art. 54 (già art. 50 del Progetto di Costituzione).
In ogni caso, in un’accezione positiva, più che di disobbedienza civile si può parlare di cittadinanza attiva: perché è indubitabile che la presenza del cittadino, la sua vigilanza civile, il suo consenso ma anche la sua critica siano fondamentali per la tutela dei diritti costituzionali.
Il diritto di resistenza si pone, invero, come un momento essenziale della partecipazione attiva alla vita democratica da parte dei cittadini.
Naturalmente, la resistenza non può essere esercitata in forma violenta, perché, per difendere un diritto fondamentale, leso dall’esercizio arbitrario di pubbliche funzioni, non si può ledere e/o sacrificare altri diritti fondamentali, di pari o maggiore rilevanza, quale quello alla vita ed alla sicurezza delle persone.
Lo storico costituzionalista Prof. Giuliano Amato nel 1961 scriveva che i poteri che sono esercitati dallo Stato-governo “non fanno capo originariamente ad esso, ma gli sono trasferiti, magari in via permanente, dal popolo”. Pertanto, “l’esercizio di quei poteri deve svolgersi, per chiaro dettato costituzionale, in guisa tale da realizzare una permanente conformità dell’azione governativa agli interessi in senso lato della collettività popolare.”
Insomma il diritto-dovere di resistenza è il diritto del popolo sovrano che agisce per tutelare l’ordinamento democratico. Un diritto-dovere che, in un clima di pesantezza sociale, può aiutare a scacciare meccanismi fini a sé stessi, poco interessati al benessere generale della popolazione e, soprattutto, molto lontani dalla Costituzione.
Il diritto di resistenza si esercita anche attraverso l’esercizio dei diritti di libertà, previsti e tutelati espressamente dalla nostra Costituzione, come il diritto di manifestazione del pensiero (art. 21) ed il diritto di sciopero (art.40).
Si esercita inoltre con atteggiamenti sia attivi, che implicano la vigilanza dei cittadini sulle azioni poste in essere dallo Stato e, se necessario, la critica verso le stesse e anche, ancor più attivamente, attraverso l’esperimento di azioni giudiziarie contro provvedimenti illegittimi, sia con la disobbedienza civile, richiamata all’inizio di questo articolo, non accettando supinamente gli effetti di provvedimenti illegittimi dal punto di vista costituzionale.
Entrambi questi due ultimi aspetti sembrano tra l’altro trovare posto nell’ordinanza emessa il 16 dicembre scorso dal Tribunale di Roma, di cui mi sono estesamente occupata in altro articolo sempre pubblicato su Radio Cora.
Ricordo brevemente che il Tribunale civile di Roma ha emesso un’ordinanza di rilascio di un immobile commerciale in un procedimento nel quale il conduttore invocava la pandemia come causa giustificatrice del mancato pagamento dei canoni.
Il Giudice, rigettando le motivazioni addotte dal conduttore a sostegno dell’omesso pagamento del canone, ha tra le altre cose precisato che non è stata la pandemia bensì sono state le misure prese per arginarla a limitare nel caso specifico l’uso del bene immobile in oggetto.
In particolare, secondo il Giudice “la limitazione ai diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti che si è verificata nel periodo di emergenza sanitaria è dovuta … non alla intrinseca diffusione pandemica di un virus ex se, ma alla adozione “esterna” dei provvedimenti di varia natura (normativi ed amministrativi) i quali, sul presupposto della esistenza di una emergenza sanitaria, hanno compresso o addirittura eliminato alcune tra le libertà fondamentali dell’Uomo, cosi come riconosciute sia dalla Carta Costituzionale che dalle Convenzioni Internazionali”.
Posto quanto sopra, il Giudice evidenzia come le misure restrittive non possono essere comunque invocate dal conduttore poiché “è onere dei cittadini provvedere all’impugnazione” di provvedimenti ritenuti illegittimi (come il Giudice stesso ritiene siano i Dpcm emessi in tempo di pandemia volti a limitare i diritti fondamentali) e in ogni caso non “accettarne supinamente gli effetti”.
In buona sostanza il Giudice ha richiamato espressamente il cittadino al suo diritto/dovere di attivarsi al fine di far venire meno (o tentare comunque di far venire meno) provvedimenti illegittimi; e, in ogni caso, a non sottostare supinamente ai loro effetti.
Il Giudice vuole ricordare al cittadino che lo stesso non è oggetto inanimato del diritto ma a tutti gli effetti un soggetto, con un ruolo nell’ordinamento e che può farlo valere.
E cosa richiama il Giudice con queste parole se non il legittimo diritto (e anche dovere, se si vuole tutelare l’ordinamento democratico) di resistenza di cui si è appena discusso?
Elena Dragagna, Avvocato
Fonti bibliografiche:
– “Il diritto di resistenza: percorsi storici e costituzionali di un diritto che c’è ma non si vede”, di Gerardo Scotti, su ius in itinere
“Il diritto di resistenza” di Danilo Fuscaldo, su diritto.it
– “Il diritto di resistenza nella Costituzione italiana” di Giorgio Giannini
– la Costituzione italiana
– ordinanza del Tribunale civile di Roma nel procedimento R.G. 45986/2020:
– “Tribunale di Roma: i DPCM non possono limitare libertà costituzionali” di Elena Dragagna, su Radio Cora
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