Mass media e polemiche: il post partito

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Il rischio è uno scontro ormai fra politica e televisione

di Antonio Calicchio

Politica e televisione: questo è stato, ed è, per il nostro Paese, il tema dominante, la cover story di questi ultimi anni. E, per rendersene conto, è sufficiente guardare la Tv, leggere i giornali, dialogare con amici e colleghi, saggiare reazioni e sensibilità dei conoscenti, prendere un aereo o un treno. In ogni dove, si registrano polemiche, dissensi, contrasti che sollevano una vexata quaestio: le nostre libertà politiche sono o meno minacciate dalla potenza di impatto della televisione?

Se si resta alla superficie delle cose – che spesso è il cuore delle cose, secondo la lezione di grandi maestri – allora si nota che il rapporto fra politica e televisione si è ribaltato: per un certo tempo, la politica ha divorato la televisione, adesso è la televisione che tende a divorare la politica. Ed invero, dapprima, abbiamo visto all’opera partiti forti e un sistema televisivo debole; ora, i partiti sono divenuti entità evanescenti, formazioni elettorali in fieri. Tuttavia, nel complesso, appare chiaro come il sistema della decisione politica inizi ad essere assoggettato al condizionamento dell’informazione televisiva, del linguaggio televisivo, dell’immagine televisiva. Alla caratteristica di un Paese che ha ridimensionato la politica, tagliando con un sistema di partiti che aveva una tradizione secolare, si somma quella di un Paese che ha sovradimensionato la televisione.

Il gigantismo della Tv di Stato ha prodotto, nella competizione di mercato, quello della Tv commerciale o privata o libera. Donde, numerose reti nazionali, molti telegiornali, decine di talk show e contenitori, valanghe di film, montagne di pubblicità, una immensa quantità di risorse impegnate, tanto durante il giorno, che durante l’anno. Donde, una offerta assolutamente straordinaria che determina vantaggi e svantaggi altrettanto straordinari, reazioni fobiche, allarmi democratici, idiosincrasie snobistiche, attenzioni morbose, paure sconsiderate, lotte selvagge e guerre editoriali. Donde, quella corsa all’oro immateriale e quella febbre dell’etere che sta contaminando pure la politica.

Cionondimeno, le nostre libertà non sono in pericolo. E’ nella logica delle cose che un siffatto moto pendolare tenda a ritornare su se stesso. La politica, anche mediante la sua febbricitante elaborazione televisiva, riacquisirà gradatamente un aspetto più avvertibile e solido. La politica, insomma, cesserà di essere in debito di ossigeno a fronte della televisione.

Perché tutto ciò avvenga in maniera serena, in una società che rimane libera e che non utilizza le sue fobie contro le sue libertà, è significativo che un simile moto di ritorno alla politica non sia neppure immaginato come una affermazione del regime del divieto, della censura, anche surrettizia, del dirigismo burocratico, del monopolio partitico o lobbistico sulla libertà di stampa e televisiva. E’ singolare che taluni intellettuali, i quali vedono con lucidità i nuovi sintomi di malessere nel rapporto fra televisione e politica, descrivano l’irruzione della prima nella seconda, con le sue faziosità, i suoi strilli, i suoi colpi bassi, come un ammasso informe di volgarità e di rissa. Le polemiche, le volgarità e le risse percorrono tutto il mondo della comunicazione, pubblica o privata che sia. Ridurle ad uno scontro fra picchiatori, significa annichilire psicologicamente le libertà indivisibili di stampa e di opinione, che sono, inoltre e forse tanto più, quelle di provocare dissenso; significa che si ritiene di risolvere una questione politica chiamando il 113. E’ pur vero che il partito, come conosciuto nel secolo scorso, non è possibile oggi; ma è analogamente vero che esso è comunque necessario. Ed è per tale fondamentale ragione che occorre un post-partito, come luogo di ideazione della politica: flessibile, attento alle aspettative individuali e sociali, un “partito liquido”.