I MECCANISMI PSICOLOGICI DI DIFESA: IL RITIRO PRIMITIVO

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Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta

I meccanismi psicologici di difesa sono comunemente usati da tutti noi, ne sono stati delineati una ventina ed agiscono a livello inconscio. Essi sono una strategia che la psiche utilizza per proteggerci dal prendere consapevolezza di desideri, bisogni, pulsioni, contenuti e rappresentazioni mentali potenzialmente angoscianti, disturbanti o in qualche modo fonte di sofferenza e che in noi si sono attivati, generandoci ansia.

Fu Freud il primo a descriverli e a capirne la funzione per l’equilibrio mentale e poi la figlia Anna, anche lei psicoanalista, continuò il lavoro del padre ampliandone la classificazione. Da allora per gli psicoterapeuti che lavorano seguendo un orientamento psicoanalitico o psicodinamico i meccanismi di difesa sono un elemento centrale del lavoro con il paziente, nel senso che uno degli obiettivi del lavoro terapeutico è quello di aiutare il paziente a capire in quali modi – cioè attraverso l’utilizzo di quali meccanismi di difesa – egli gestisce l’angoscia. Ulteriore passo del lavoro con il paziente è poi quello di capire assieme a lui che cos’è che gli fa provare un senso d’angoscia: quali contenuti mentali, conflitti, pulsioni, emozioni, etc.
Trai i meccanismi di difesa ce n’è uno chiamato “Ritiro Primitivo”: lo si può osservare nel bambino molto piccolo quando è sovrastimolato o preda di forti tensioni: in questi casi spesso egli semplicemente si addormenta, ritirandosi dal mondo esterno. Sebbene più raro, anche negli adulti si può osservare come il sonno possa essere usato come una strategia difensiva per non restare in contatto emotivo con gli altri o con se stessi e i propri vissuti. In psicoterapia capita che si osservi il paziente sbadigliare o assopirsi proprio mentre si stanno toccando “temi caldi” e nodi problematici, cosa che invece non accade già un minuto dopo quando con lo stesso paziente ci si sposta su contenuti più “neutri”.
In quest’ultimo caso anzi il paziente sembra addirittura improvvisamente “accendersi”, forse perché inconsciamente rasserenato dal “pericolo” sventato di dover “mettere le mani nei motivi dell’angoscia”. Ai non addetti ai lavori potrà sembrare strano questo, ma in realtà è noto in psicoterapia come alcuni pazienti che chiedono un aiuto psicologico attuino un processo di delega totale al terapeuta; nel senso che gli chiedono di aiutarli a cambiare ma senza che loro cambino nulla della loro vita e delle loro modalità di porsi con se stessi e con gli altri. La psicoterapia richiede invece un lavoro di squadra ed un coinvolgimento attivo del paziente che deve imparare a tollerare e poi ad utilizzare l’angoscia come fonte di informazione su quello che gli sta accadendo a livello emotivo e sensoriale. Anche la propensione ad utilizzare droghe per alterare la coscienza può essere considerata una forma di ritiro, ma certamente la versione adulta del ritiro primitivo più evidente la si osserva in coloro che si sottraggono a situazioni sociali, sostituendo il proprio mondo fantastico interiore alle tensioni della relazione con gli altri: gli hikikomori ne sono un esempio.

Con il termine Hikikomori ci si riferisce ad una particolare sindrome che colpisce gli adolescenti e i pre-adolescenti: “stare in disparte, isolarsi” è il significato della parola giapponese hikikomori e questi ragazzi fanno proprio questo, ovvero si ritirano facendo della propria camera il loro universo.