IL TEMPO ATTUALE E IL NATALE

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La nuova vita che deve arrivare

di Antonio Calicchio

Tutte le discussioni, di queste settimane, intorno al Natale, sono state centrate sulla possibilità di mantenere aperti gli impianti sciistici e di salvaguardare la stagione turistica. L’argomento è divenuto talmente esplosivo da provocare addirittura qualche tensione diplomatica, fra nazioni aperturiste (Austria e Svizzera) e quelle rigoriste (Germania, Italia, Francia). Le questioni economiche di intere comunità montane, che vivono prevalentemente di tali attività, non vanno sottovalutate. Così come nel caso della ristorazione, allo stesso modo appare, dunque, doveroso evidenziare l’esigenza di interventi proporzionati ad opera dei governi per tutelare attività che sono a rischio di essere falcidiate, non essendo giusto, né opportuno che i costi della epidemia vengano riversati sui più esposti. Del resto, questa vicenda propone assai di più in merito alla natura delle nostre società. Nei mesi passati, si è reiteratamente affermato essere l’epidemia un rivelatore che consente di comprendere meglio ciò che noi siamo. E il dibattito circa il Natale conferma un simile effetto: ed invero, si è constatato, nei mesi scorsi, che l’attuale modello di vita non ammette alcun “altrove”, né spaziale (il mondo interconnesso è stato investito, in pochi mesi, dal virus, senza scampo), né temporale (non essendovi più un momento “esterno” al circuito economico).

L’attività commerciale, passo dopo passo, ha invaso non solo la domenica, ma anche la fascia serale. Il nostro tempo libero è affollato di attività a pagamento: viaggi, cinema, palestre, musei. Al punto che il lavoro non concerne più soltanto le otto ore della tipica giornata feriale, ma si espande alla (quasi) totalità delle nostre attività che si poggiano unicamente su un corrispettivo di carattere economico. E lo stesso dicasi per quanto attiene al calendario annuale, riempito ormai di “solennità” commerciali: le ferie invernali sugli sci e quelle estive al mare, S. Valentino, Carnevale, Pasqua, i saldi di fine stagione, Halloween, la festa del papà e quella della mamma, il Black Friday, Natale, ecc.

Non che ciò costituisca, di per se stesso, un male; ma non vanno neppure sottovalutate le conseguenze collaterali. Comunque, mentre si sta – lentamente – iniziando a comprendere che il problema della sostenibilità va preso sul serio, pena esporsi agli effetti disastrosi del riscaldamento globale, si seguita a proporre, e riproporre, un modello che non lascia respiro, che corre sempre più rapidamente e che non tollera pause, un modello 24 ore su 24, sette giorni su sette.

Nei giorni scorsi, qualche voce ha tentato di dire che, stante la situazione attuale, ci si deve preparare ad un Natale differente, più povero, con meno amici, meno familiari, meno regali, forse, con meno frenesia e con più raccoglimento, più riflessione, più ospitalità, atteso che si è al termine di un annus horribilis. Peggio del quale, vi è solamente la tragedia di sciuparlo, chiudendosi in se stessi.

L’antica saggezza biblica, che rimonta a tremila anni or sono, sottolinea l’importanza di una interruzione del tempo che consenta di distaccarsi dagli impegni giornalieri in maniera da osservare il mondo da un punto di vista differente. Un bene inestimabile per il pensiero che diviene, così, maggiormente capace di rigenerare quella creatività e quella saggezza senza cui si cade nel vortice di una sfiancante monotonia.

Il Natale narra di una dimensione che si fa nuova a partire dalla fragilità di un Bambino, che sollecita a reimparare ciò di cui si ha bisogno: ritornare a sperare, coltivando la memoria dell’avvenire, risorsa necessaria per affrontare creativamente le preoccupazioni che ci attanagliano.

L’epidemia ha determinato numerosi danni sul piano sociale, non meno che su quello economico. Malgrado l’arrivo del vaccino, tuttavia, il 2021 sarà un anno non facile. Ed allora, il Natale povero che ci apprestiamo a vivere può rappresentare un’occasione per rientrare in noi stessi, comprendendo che la soluzione ai problemi non passa da un affannoso attivismo, da una insensata accelerazione, dal frettoloso ritorno a fare ciò che si faceva prima; se vi è un fatto che il terzo choc globale aiuta a vedere è che l’illusione di un mondo a crescita illimitata e del godimento individualizzato non si regge.

La capacità di uscire positivamente dalla crisi è, quindi, strettamente collegata con la disponibilità ad ascoltare l’annuncio del Natale, per credenti e non: essere questa solennità il rito collettivo di riapertura della speranza, il tempo della rigenerazione, dello stupore per accogliere, prima, e per accompagnare, poi, la vita nuova che deve arrivare.